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Grid defection RSE: ecco perché non è economico staccarsi dalla rete

Grid defection RSE: ecco perché non è economico staccarsi dalla rete

Uno studio valuta uno scenario che prevede la rinuncia alla connessione alla rete elettrica per gli utenti domestici.

Restano dubbi di natura essenzialmente monetaria, in particolare legati al costo di generazione del kWh elettrico calcolato sull’intera vita utile dell’impianto di accumulo.

Grid defection
! Non è il titolo di un film d’avventura girato al di là dell’Oceano, ma più semplicemente una realtà che riguarda (potenzialmente) gli utenti domestici italiani. Il termine grid defection illustra infatti un semplice scenario: la rinuncia alla connessione alla rete elettrica. Non si sta parlando dell’autoproduzione di una quota più o meno elevata del proprio fabbisogno, come già avviene ad esempio per centinaia di migliaia di utenti italiani che hanno installato un impianto fotovoltaico, ma di una totale autonomia di approvvigionamento elettrico. Quasi inevitabilmente, la grid defection obbligherebbe a dotarsi anche di sistemi di accumulo, azione invece non strettamente necessaria per i prosumer che restano collegati alla rete, a maggior ragione per quelli che usufruiscono dello scambio sul posto.

Ebbene, si tratta di uno scenario possibile? O di pura fantascienza? RSE ha cercato di dare una risposta a queste domande. E al momento sembrano esserci più dubbi (di natura essenzialmente economica) che certezze.
Il problema riguarda infatti il COE – Cost Of Electricity, ossia il costo di generazione del kWh elettrico calcolato sull’intera vita utile dell’impianto.
“I risultati – commentano i ricercatori di RSE – indicano che, con gli attuali costi d’acquisto dei componenti, nessuna delle configurazioni impiantistiche presenti sul mercato appare in grado di raggiungere un COE che giustifichi economicamente un’azione di grid defection”.

Le variabili prese in esame
Lo studio ha fatto riferimento sia alle tariffe elettriche attuali, sia a quelle corrispondenti alle varie opzioni di riforma recentemente proposte da AEEGSI. Si sono considerate varie tipologie di utenza (residente o non residente, più o meno energivora). A partire da profili reali di consumo elettrico e termico delle diverse categorie di utenti, è stato simulato il funzionamento di varie configurazioni impiantistiche in grado di soddisfare con continuità il 100 per cento dei fabbisogni elettrici (e in alcuni casi anche termici), determinando una stima del relativo COE. Sono state considerate le tecnologie di generazione distribuita ad oggi più mature e potenzialmente più competitive dal punto di vista economico per applicazioni residenziali (micro-cogenerazione, solare fotovoltaico, sistemi di accumulo).

Il caso… delle seconde case
Soprattutto per le cosiddette seconde case, a prescindere dalla zona climatica dell’abitazione e nonostante il possibile aggravio dei costi per la fornitura di elettricità al quale potrebbero essere soggette in futuro, la disconnessione dalla rete e l’utilizzo di un micro-cogeneratore alimentato a gas, soluzione più vantaggiosa tra quelle analizzate, comporterebbe un aggravio insostenibile dei costi, in quanto i consumi risultano troppo ridotti a fronte degli elevati costi di investimento.

Ecco il mix (quasi) vincente
per le utenze residenziali
Per quanto riguarda le utenze residenti la situazione si fa più bilanciata, con un gap economico tra soluzioni di auto-produzione e le attuali/future tariffe di rete che tende a ridursi significativamente mano a mano che si considerano utenti con consumi elettrici più elevati.
La configurazione impiantistica costituita da micro-CHP, generatore FV e batterie risulta in questi casi la soluzione economicamente più prossima alla convenienza, in quanto consente di non sfruttare eccessivamente il sistema di accumulo, anche grazie all’apporto della generazione solare fotovoltaica, e contemporaneamente di ridurre le ore di utilizzo del micro-cogeneratore nei mesi più soleggiati; quest’ultimo dà il maggior apporto energetico nel periodo invernale, soddisfacendo nel contempo il fabbisogno termico per riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria. Tuttavia il COE relativo a tali sistemi è ad oggi ancora elevato, variabile a seconda dei casi tra 0,60 e 0,27 euro/kWh, a fronte di valori compresi tra 0,18 e 0,25 euro/kWh per l’acquisto da rete.

Il fattore affidabilità
Al di là di considerazioni puramente economiche, è inoltre bene considerare che la nostra rete di distribuzione offre un servizio mediamente molto affidabile, mentre in caso di grid defection l’utente deve accettare la possibilità che si verifichino interruzioni del servizio di durata presumibilmente maggiore. In questo caso, inoltre, è l’utente finale a doversi fare carico di manutenzione ordinaria e straordinaria (il relativo costo è comunque incluso nel confronto economico).

Le evoluzioni possibili
nei prossimi 10/15 anni
Si è poi considerato che l’accumulo elettrochimico e il micro-CHP potrebbero essere oggetto di una sensibile riduzione del costo di acquisto nel breve/medio termine. Pertanto, limitatamente ai benchmark più energivori già più prossimi alla convenienza, si è verificata la sensibilità dei risultati al ridursi dei costi di investimento, ipotizzando una riduzione del costo di acquisto sia del sistema d’accumulo sia del micro-CHP pari al 20 per cento, e successivamente del 30 per cento.
I COE risultanti da tali simulazioni, che nel caso di utenze particolarmente energivore possono raggiungere valori compresi tra 0,21 e 0,22 euro/kWh, dimostrano la potenziale competitività economica di queste soluzioni impiantistiche entro un orizzonte temporale che si potrebbe indicativamente stimare in 10/15 anni.

Confronto fra costo di produzione autonoma di elettricità e di acquisto dalla rete

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