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3.3.2.3-Modellazione del processo del processo di formazione dei composti organoclorurati in caso di co-combustione carbone/cdr

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3.3.2.3-Modellazione del processo del processo di formazione dei composti organoclorurati in caso di co-combustione carbone/cdr

Recently updated on Aprile 7th, 2021 at 12:46 pm

Il piano approvato dal CIPE, basato sui dati contenuti nel Libro Bianco di ENEA [1] sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, prevede che entro il 2010 il 25% dell’energia elettrica prodotta in Italia derivi da fonti rinnovabili (che nel 1997 hanno coperto solo il 7.4% del fabbisogno nazionale [1]) tra le quali anche la combustione di rifiuti solidi urbani (RSU). In particolare, per quanto riguarda il contributo della combustione di RSU all’energia prodotta da fonti rinnovabili, nel 1997 esso risultava pari a circa lo 0.5% contro l’attuale valore valutato nel 1.6%. Poiché attualmente in Italia solo il 7.5% dei rifiuti viene termovalorizzata, contro una media europea pari al 20%, si comprende come ci siano ancora ampi margini di sviluppo per l’impiego di questo combustibile rinnovabile per la produzione d‘energia elettrica anche in considerazione del fatto che l’incenerimento di RSU contribuisce sinergicamente alla riduzione della massa di rifiuti da conferire in discarica e del relativo impatto ambientale. In particolare, si stima che l’energia elettrica potenzialmente ricavabile dai 29 milioni di tonnellate di RSU prodotti annualmente sia pari al 12% del fabbisogno nazionale [2]. Perché la termovalorizzazione degli RSU sia praticabile in pieno accordo con i vincoli ambientali pur massimizzando i rendimenti termodinamici e il risparmio di CO 2 emessa, è necessario che siano realizzati impianti innovativi in termini delle configurazioni impiantistiche (studi di sistema), dei processi di preparazione e di combustione dei rifiuti (studi di processo) e dei materiali innovativi in grado di lavorare in condizioni gravose e delle metodiche di diagnostica e monitoraggio del comportamento in esercizio dei componenti più critici. Nell’ambito delle attività inerenti gli studi di processo, rivestono particolare importanza gli argomenti inerenti l’influenza dei parametri del processo di combustione (quali ad esempio la temperatura e la stechiometria di combustione) sulla formazione di microinquinanti organici volatili a seguito della combustione dei rifiuti nello stato tal quale, dopo un opportuno trattamento (CDR), miscelati o no con carbone. Infatti, una possibile via per ridurre le emissioni di microinquinanti organici nei fumi da combustione di residui è sfruttare le caratteristiche del sistema di combustione, che per certi versi può essere considerato un vero e proprio reattore chimico le cui condizioni di funzionamento possono essere modificate per combattere la produzione degli inquinanti. Sulla base dell’esperienza acquisita negli anni 2000-2003, nell’ambito del progetto RdS EVINGEN/GENIN [3], relativamente alle problematiche inerenti alla termovalorizzazione dei RSU, e tenendo conto che lo specifico problema della formazione dei microinquinanti organici non era già stato affrontato in tale sede, è stato valutato che il primo passo per la risoluzione del problema di cui sopra deve consistere nella modellazione e nello studio sperimentale dei meccanismi di formazione/distruzione dei microinquinanti organici al fine di definire una strategia di modifica e di gestione ambientalmente efficace dei grandi sistemi di termovalorizzazione. Particolare importanza è data allo studio del processo di pirolisi, che costituisce il primo stadio della combustione e condiziona in modo determinante i successivi percorsi di reazione che portano alla formazione degli inquinanti. Nel

caso specifico l’attività è stata finalizzata alla determinazione delle modalità di mobilizzazione del cloro responsabili della formazione di composti organoclorurati persistenti (POP, persistent organic pollutants) quali ad esempio le policlorodibenzo-diossine (PCDD), Policlorodibenzofurani (PCDF) e i Policlorobifenili (PCB). Nell’ambito di quest’attività è stata studiata, su scala di laboratorio, la mobilizzazione del cloro del combustibile e l’incorporazione di questo elemento nei tar (qui definiti come composti volatili condensabili a 0°C) prodotti in condizioni di pirolisi a partire da un CDR di riferimento come descritto in dettaglio in Allegato 1. Sono state comunque seguite anche specie non propriamente identificabili come POP, ma tali da poter essere considerate precursori di questi o, in ogni caso, intermedi in grado di svolgere un ruolo chiave nei meccanismi di formazione di POP clorurati. Il comportamento termico di un combustibile molto variabile ed eterogeneo come CDR, è stato rappresentato, in prima approssimazione, con un modello fisico a due soli componenti: PVC (come modello delle plastiche contenenti cloro) e carta da fotocopie (come modello della frazione cartacea nel suo complesso) in assenza di interazioni dei reciproci composti intermedi (modello additivo). Dai dati sperimentali e dal confronto del modello fisico è emerso che: – sono stati individuati nei prodotti di pirolisi famiglie di sostanze riconducibili a ciascuno dei due componenti- modello (in misura maggiore per la carta, decisamente più modesta per il PVC) che hanno consentito di stimare empiricamente i coefficienti necessari per descrivere il contributo relativo dei due componenti-modello nel processo di formazione dei tar clorurati. Una frazione considerevole dei tar clorurati non può essere ricondotta in via diretta a nessuno dei due componenti- modello. Le possibili ragioni possono essere la presenza di altre sorgenti di tar clorurati importanti anche se presenti in proporzioni esigue in termini di massa, in altre parole all’esistenza di interazioni tra i componenti-modello considerati.

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