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3.3.2.4-Studi di laboratorio del processo di pirolisi ossidativa dei CDR e caratterizzazione dei prodotti di reazione

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3.3.2.4-Studi di laboratorio del processo di pirolisi ossidativa dei CDR e caratterizzazione dei prodotti di reazione

Recently updated on Aprile 7th, 2021 at 12:20 pm

Il piano approvato dal CIPE, basato sui dati contenuti nel Libro Bianco dell’ENEA [1] sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, prevede che entro il 2010 il 25% dell’energia elettrica prodotta in Italia derivi da fonti rinnovabili (che nel 1997 hanno coperto solo il 7.4% del fabbisogno nazionale [1]) tra le quali anche la combustione di rifiuti solidi urbani (RSU). In particolare, per quanto riguarda il contributo della combustione di RSU all’energia prodotta da fonti rinnovabili, nel 1997 esso risultava pari a circa lo 0.5% contro l’attuale valore valutato nel 1.6%. Poiché attualmente in Italia solo il 7.5% dei rifiuti viene termovalorizzata, contro una media europea pari al 20%, si comprende come ci siano ancora ampi margini di sviluppo per l’impiego di questo combustibile rinnovabile per la produzione d‘energia elettrica anche in considerazione del fatto che l’incenerimento di RSU contribuisce sinergicamente alla riduzione della massa di rifiuti da conferire in discarica e del relativo impatto ambientale. In particolare, si stima che l’energia elettrica potenzialmente ricavabile dai 29 milioni di tonnellate di RSU prodotti annualmente sia pari al 12% del fabbisogno nazionale [2]. Perché la termovalorizzazione dei RSU sia praticabile in pieno accordo con i vincoli ambientali pur massimizzando i rendimenti termodinamici e il risparmio di CO 2 emessa, è necessario che siano realizzati impianti innovativi in termini delle configurazioni impiantistiche (studi di sistema), dei processi di preparazione e di combustione dei rifiuti (studi di processo) e dei materiali innovativi in grado di lavorare in condizioni gravose e delle metodiche di diagnostica e monitoraggio del comportamento in esercizio dei componenti più critici. Nell’ambito delle attività inerenti gli studi di processo, rivestono particolare importanza gli argomenti inerenti l’influenza dei parametri del processo di combustione (quali ad esempio la temperatura e la stechiometria di combustione) sulla formazione di microinquinanti organici volatili a seguito della combustione dei rifiuti nello stato tal quale, dopo un opportuno trattamento (CDR), miscelati o meno con carbone. Infatti, una possibile via per ridurre le emissioni di microinquinanti organici nei fumi da combustione di residui è sfruttare le caratteristiche del sistema di combustione, che per certi versi può essere considerato un vero e proprio reattore chimico le cui condizioni di funzionamento possono essere modificate per combattere la produzione degli inquinanti. Sulla base dell’esperienza acquisita negli anni 2000-2003, nell’ambito del progetto RdS EVINGEN/GENIN [3], relativamente alle problematiche inerenti alla termovalorizzazione dei RSU, è stato affrontato

sperimentalmente uno studio inerente alla formazione degli idrocarburi policiclici aromatici (PAH) al fine di definire una strategia di modifica e di gestione ambientalmente efficace dei grandi sistemi di termovalorizzazione. Particolare importanza è data allo studio del processo di pirolisi, che costituisce il primo stadio della combustione e condiziona in modo determinante i successivi percorsi di reazione che portano alla formazione degli inquinanti. Ad esempio i meccanismi con i quali avviene la devolatilizzazione del combustibile, influenzano significativamente non solo la formazione, la quantità e la composizione delle materie volatili quali gas e Tar (composti volatili condensabili a 0°C) determinando quindi le emissioni, ma sono responsabili anche delle caratteristiche del char residuo. Tra i composti volatili che si formano in queste prime fasi del processo di combustione si annoverano gli idrocarburi policiclici aromatici. Alla luce di quanto premesso, nell’ambito di quest’attività, è stato studiato sperimentalmente, su scala di laboratorio, il processo di formazione di PAH nella pirolisi in ambiente riducente per quattro differenti combustibili [4]. In particolare, si sono utilizzati un carbone bituminoso, CdR e due loro miscele nelle percentuali del 5% e 25% di CdR. Nel caso di solo CdR è stata effettuata una sperimentazione dedicata finalizzata allo studio del comportamento in condizioni di pirolisi ossidante, introducendo ossigeno nel sistema di reazione in miscela col gas di trasporto nella misura del 3 % e 11 %, come meglio descritto in allegato 1. Attraverso analisi gas cromatografiche dei composti condensabili e non, è stato possibile caratterizzare i prodotti di pirolisi con particolare riferimento alla formazione di PAH nelle diverse atmosfere. L’analisi dei dati sperimentali ha consentito di valutare l’effetto dell’ossigeno sulla formazione dei tar come classe, su insiemi di PAH a diverso numero di anelli aromatici (da 2 a 7) e su una serie di n-alcani omologhi da 10 a 38 atomi di carbonio. Le variabili di concentrazione ottenute dalla caratterizzazione chimica dei tar sono state utilizzate per la definizione di indici di reattività e di trasformazione delle miscele di tar, o di loro frazioni/componenti, in grado di dare una misura della tendenza dei tar prodotti a essere distrutti tramite meccanismi di degradazione ossidativa, nonché sulla loro tendenza a formare sottoprodotti a diversa volatilità, polarizzabilità e grado di aromatizzazione. I principali risultati sono che: Nella pirolisi pura e con O 2 al 3%, la classe degli PAH è costituita al 70% da composti con 2 – 3 anelli aromatici mentre nella pirolisi ossidativa con 11% O 2 gli PAH con 2-3 anelli costituiscono solo il 40% del totale. Globalmente però al crescere del contenuto dell’ossigeno si osserva una diminuzione rilevante della formazione di PAH.

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