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4.6.1-RISCHIO ECOLOGICO DEI METALLI NELLA GENERAZIONE A CARBONE – Analisi dell’approccio al rischio ecologico ed elaborazione di un framework specifico

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4.6.1-RISCHIO ECOLOGICO DEI METALLI NELLA GENERAZIONE A CARBONE – Analisi dell’approccio al rischio ecologico ed elaborazione di un framework specifico

Recently updated on Settembre 28th, 2021 at 03:32 pm

Nel documento, dopo un inquadramento generale sui “metalli” nell’ambiente in termini di emissioni naturali ed antropogeniche in atmosfera e nei corpi idrici, di trasporto e distribuzione nei vari comparti ambientali, vengono considerate le emissioni di metalli dagli impianti termoelettrici a carbone. Per ciascuno dei metalli ritenuti “significativi” in termini di potenziale impatto ambientale, e quindi di potenziale rischio ecologico, viene fornita una valutazione della entità delle emissioni basata sia sui specifici “fattori di emissione” sia sui valori reali forniti dai vari operatori degli impianti termoelettrici di potenza superiore a 50 MW termici all’Autorità competente in ottenperanza agli obblighi previsti dalla Direttiva IPPC (Integrated Pollution Prevention Control ) della Unione Europea. Sulla base dei valori dichiarati dai gestori degli impianti, le emissioni in aria ed in acqua degli impianti a carbone rappresentano, rispetto al totale degli impianti termoelettrici con potenza installata > 50 MW termici, una frazione percentuale di rilevo. In particolare, per quanto riguarda le emissioni in aria, la percentuale degli impianti a carbone sul totale delle emissioni degli impianti termoelettrici è del 62,7% per As, del 58,2% per Cd, del 31,6 per Cr, del 41% per Cu e del 44,5% per Hg. Anche rispetto al totale delle emissioni degli impianti IPPC la percentuale rimane notevole; è infatti del 22,3% per As, del 10,7% per Cd, del 15,5% per Cu. Per Hg il contributo percentuale invece si riduce, assommando al 3,3% del totale delle emissioni. Viene presentato l’approccio sviluppato dall’Environmental Protection Agency degli USA per la valutazione del rischio ecologico di un generico agente stressante (chimico, fisico, biologico). Il framework è composto da tre fasi: nella prima fase (“formulazione del problema”) vengono definiti gli obiettivi dell’analisi, viene sviluppato il modello concettuale e viene predisposto il piano delle analisi su cui si sviluppa la fase successiva (“fase di analisi”) che consiste nel valutare tecnicamente i dati sugli effetti ecologici potenziali e sulle caratteristiche di esposizione agli agenti stressanti, identificati durante la fase di formulazione del problema, in modo da ricavare sia i “profili di esposizione” che i “profili di livello agente stressante – effetto”. La terza e ultima fase (“fase di caratterizzazione del rischio”) consiste nella stima della probabilità di accadimento degli effetti ecologici avversi mediante l’integrazione dei profili di esposizione e di effetto. In questa fase, inoltre, si procede alla individuazione e schematizzazione dei maggiori

ambiti di incertezza e alla definizione delle potenzialità e dei limiti dell’analisi di rischio condotta. Il framework di Analisi del Rischio Ecologico sviluppato dall’US EPA si caratterizza per la sua struttura temporali in tre fasi ben distinte: fase di “scoping”, fase di “screening” e fase di “analisi sito-specifica”. La prima fase determina se è necessaria un’Analisi di Rischio Ecologica, la seconda individua quali contaminanti, quali comparti ambientali e quali recettori devono essere considerati. La terza fase definisce la natura ed il grado di intensità degli effetti del rischio. Mentre la fase di “scoping” si focalizza soprattutto sulla formulazione del modello concettuale, le altre due fasi si articolano a loro volta in tre parti: formulazione del problema, fase di analisi e caratterizzazione del rischio. In particolare la fase di screening e la fase sito- Specifica partono dai risultati della precedente, ne analizzano le problematiche, cercano le informazioni necessarie a chiarirle ed a risolverle e, quindi, procedono ad un’analisi di rischio più particolareggiata. I tre livelli sono considerati come una sequenza che porta ad un maggior grado di approfondimento, richiedendo di volta in volta un maggior numero di informazioni ed un costante impiego di tempo e risorse. Lo scopo è rendere quanto più possibile efficiente il processo di analisi definendo solo le attività necessarie ed utili al processo decisionale e gestionale. La letteratura relativa all’Analisi di Rischio Ecologico riguarda studi fatti per sostanze organiche di sintesi. La specificità di comportamento ambientale e tossicologico dei metalli fà sì che l’ERA per tali elementi si debba differenziare sia in termini di problematiche da condiderare che negli strumenti da utilizzare. Molteplici sono gli aspetti che devono essere presi in considerazione nella formulazione di un approccio specifica di ERA per la valutazione del rischio ecologico dei metalli. In particolare: null I metalli sono naturalmente presenti nell’ambiente; null alcuni sono micronutrienti essenziali per una corretta crescita e sviluppo degli organismi; null non subiscono processi di degradazione ma si trovano in diverse forme chimiche (speciazione); null la loro concentrazione totale nel medium (acqua, “soli solution”) è scarsamente significativa; null è più importante la loro bioaccessibilità e biodisponibilità; null gli organismi possiedono capacità di adattamento e tolleranza; null gli organismi mettono in atto meccanismi per detossificarsi dei metalli in eccesso.

L’attività di ricerca è stata baricentrata nell’impostazione di uno strumento (un “framework” appunto) in grado di sostenere e rispondere alla finalità applicativa di valutazione del rischio ecologico dei microinquinanti inorganici, individuandone l’approccio metodologico di base più adeguato, la logica e la struttura operativa, i contenuti specifici di input richiesti e le modalità idonee per il loro reperimento (es: metodi analitici, modalità di indagine in campo, modelli di calcolo), la tipologia di output ed i relativi approcci metodologici di generazione, i limiti intrinseci alla procedura valutativa, e quindi alle stime di rischio da essa derivate, e definendo gli ambiti e limiti applicativi dello strumento. L’esame generale degli aspetti e delle problematiche specifiche di un valutazione del rischio ecologico applicata al contesto della generazione temoelettrica a carbone ( condotto in collaborazione con il Centro Interdipartimentale IDEAS dell’Università di Venezia e con il CNR, Istituto per lo Studio egli Ecosistemi, Sezione Chimica del Suolo di Pisa) ha portato alla formulazione di una struttura preliminare di framework, mutuato da quello formulato dall’US EPA, che ne prevede l’articolazione in almeno due livelli sequenziali a complessità crescente. Nell’ambito di ciscun livello/sottolivello il processo valutativo prevede, di massima, la conduzione de seguenti step operativi: null formulazione del problema (reperimento di informazioni e dati per la connotazione della sorgente antropica specifica, degli ambiti territoriali e del realtivo uso antropico, delle matrici abiotiche, delle matrici biotiche; reperimento di informazioni e dati per la connotazione della natura degli stessor, delle vie di interazione possibili e attive tra stresor e matrici ambientali biotiche e abiotichee dei fattori su di esse influenti; del livello ambientale degli stressor e dei fattori su di esso infleunti; dei potenziali effetti degli stresor sul biota; definzione del modello concettuale; identificazione dei livelli di incertezza legata alle informazioni, ai dati alle stime reperite; eventuale identificazione e pianificazione di indagini per l’acquisizione di informazioni e dati non disponibili o da puntualizzare a livello sito-specifico); null analisi del rischio (caratterizzazione dell’esposizione; caratterizzazione dell’effetto; caratterizzazione del rischio). Dalla ipotesi di struttura del framework, è stato impostato un percorso di sviluppo dell’attività che prevede: azioni di validazione/integrazione delle stesse condotte attraverso un’applicazione verificativa del framework ad un caso del S.E. rappresentativo del contesto prioritario individuato;

azioni di reperimento e sistematizzazione delle informazioni e dei dati (il caso tipico è quello degli dati ecotossicologici per la definzione della PNEC e la costruzione di curve di sensitività delle specie) già disponibili in letteratura; eventuale esecuzione di attività di laboratorio per la messa a punto di metodologie di indagine richieste, se non già consolidate; eventuale esecuzione di attività sperimentali per il reperimento di dati a valenza generale non ottenibili per altra via; eventuale individuazione e integrazione di modelli di calcolo per la stima previsiva degli apporti da centraleo da latre sorgenti antropiche; esecuzione di attività sperimentali e/o a supporto della fase validativa finale e sito-specifica del framework. Nelle Appendici 1 e 2 vengono desritte in modo più dettagliato le varie problematiche relative alla presenza dei metalli negli ecosistemi terrestri ed acquatici superficiali, con particolare riferimento alla loro speciazione, alla loro biodisponibilità per gli organismi, alla loro essenzialità come micronutrienti per gli organismi stessi, all’accumulo ed alla capacità degli organismi di controllare omeostaticamente il contenuto intracellulare dei metalli, alla esposione ed ai potenziali effetti negativi sugli organismi, nonché alle metodologie ecotossicologiche per una loro quantificazione. Vengono inoltre esplicitati i criteri per la definizione degli “Environmental Screening Value”, cioè dei valori che rappresentano livelli di concentrazione dei metalli, nelle diverse matrici ambientali terrestri ed acquatiche, a cui si presuppone non sia associato un pericolo per gli organismi dell’ecosistema. Nella Appendice 3 per ciascuno dei metalli considerati vengono fornite informazioni generali su: caratteristiche chimico-fisiche, sorgenti, comportamento ambientale, bioaccumulo, effetti sugli organismi, concentrazioni di riferimento, livelli normativi italiani.

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