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7.3.4b – Valutazione, sulla base della più recente letteratura scientifica in campo medico-biologico, dei possibili rischi professionali derivanti dall’esposizione professionale ai CEM.

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7.3.4b – Valutazione, sulla base della più recente letteratura scientifica in campo medico-biologico, dei possibili rischi professionali derivanti dall’esposizione professionale ai CEM.

Recently updated on Aprile 7th, 2021 at 12:28 pm

L’esposizione professionale ai campi elettromagnetici è oggetto di crescente attenzione da parte delle istituzioni europee; nel 2004 è stata infatti approvata dal Parlamento Europeo una direttiva del Consiglio dell’Unione Europea che riguarda la protezione dei lavoratori dall’esposizione a campi elettromagnetici. La direttiva, che dovrà essere recepita dal nostro paese entro l’aprile 2008, stabilisce requisiti minimi definendo, senza entrare nel dettaglio, gli obiettivi da raggiungere, i principi da rispettare e le grandezze fondamentali da utilizzare al fine di permettere agli Stati membri di applicare le prescrizioni minime in modo equivalente. La direttiva lascia quindi aperte alcune problematiche per le quali è necessario un approfondimento sulla base delle attuali conoscenze scientifiche e “delle condizioni al contorno” rappresentate dalla normativa italiana in merito alla protezione e prevenzione nei confronti dei rischi professinali. La ricerca illustrata nel presente rapporto intende appunto approfondire tali problematiche e suggerire, laddove necessario, possibili approcci e metodologie. Nel presente rapporto viene in particolare riportato il risultato della ricerca commissionata al DIPARTIMENTO DI MEDICINA DEL LAVORO “CLINICA DEL LAVORO LUIGI DEVOTO” Università degli Studi di Milano (contratto n. UO845), e condotta dal Prof. Tommaso Terrana, sul tema: “VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA SALUTE DEI LAVORATORI ESPOSTI A CAMPI ELETTROMAGNETICI A FREQUENZE ESTREMAMENTE BASSE”. La ricerca è articolata in modo tale da raggiungere i seguenti obiettivi: – Fornire, attraverso un’analisi critica della letteratura scientifica disponibile, un quadro esaustivo dello stato dell’arte della ricerca epidemiologica sulle esposizioni professionali, nonché dei risultati più significativi derivanti dalla ricerca sperimentale in vivo ed in vitro. – Descrivere le metodologie comunemente utilizzate per la valutazione del rischio sanitario per gli agenti fisici (rumore, radiazioni ionizzanti, ecc.) e valutare la loro applicabilità o meno ai campi elettromagnetici. – Valutare il rischio sanitario dovuto all’esposizione ai campi elettromagnetici sulla base dei risultati ottenuti dalle analisi sopra citate ed individuare i criteri generali da utilizzare per la definizione dei rischi professionali derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici, incluso un giudizio sulla necessità e sulla possibilità di fissare criteri su cui basare un’eventuale sorveglianza sanitaria per i lavoratori professionalmente esposti. In estrema sintesi, le considerazioni che si possono trarre dalla lettura delle relazioni prodotte dal Prof. Terrana (riportate integralmente nel seguito), possono essere così riassunte: null L’esame della letteratura scientifica anche più recente, riguardante sia gli studi di laboratorio “in vivo” ed “in vitro” sia gli studi epidemiologici su popolazioni di lavoratori professionalmente esposti a campi elettrici e magnetici a frequenza industriale, ha fornito un’evidenza molto limitata a sostegno dell’esistenza di un possibile rischio per gli adulti di contrarre varie forme di cancro e tumori a seguito di esposizioni prolungate nel tempo. I risultati degli studi su effetti per la salute diversi dal cancro sono risultati generalmente inconsistenti o difficili da interpretare. Appare quindi corretto l’approccio protezionistico seguito nella direttiva sopra citata, che fa riferimento agli effetti acuti accertati e ben documentati, mentre (si cita testualmente) “….non riguarda gli effetti a lungo termine, inclusi eventuali effetti cancerogeni dell’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici variabili nel tempo, per cui mancano dati scientifici conclusivi che comprovino un nesso di causalità………” null La valutazione dei rischi sul lavoro è un momento fondamentale del complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione, dei lavoratori e dell’integrità dell’ambiente di lavoro. La valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione ad agenti chimici e fisici rappresenta lo strumento principale della prevenzione delle malattie da essi causate. Secondo la classica metodologia recepita anche dalle direttive comunitarie, la valutazione del rischio viene condotta in fasi successive, ciascuna caratterizzata da possibili incertezze e da elementi critici di valutazione, secondo la seguente sequenza: 1. individuazione e valutazione del pericolo ( ad esempio nel caso di agenti chimici determinazione della tossicità della sostanza), 2. caratterizzazione del pericolo (= determinazione della relazione dose-risposta e degli effetti tossici critici), 3. valutazione della esposizione (= stima o misura della esposizione) 4. caratterizzazione del rischio (= definizione della probabilità e della natura degli effetti attesi). Lo strumento pratico con il quale si ritiene di raggiungere l’ obiettivo della prevenzione è la definizione di un limite di esposizione al quale l’uomo può essere esposto senza prevedibili effetti sfavorevoli sulla salute. Invece, una problematica rilevante della gestione del rischio ruota attorno alla definizione di rischio accettabile. A tale proposito si tende generalmente a considerare inaccettabile il superamento di un determinato livello di esposizione e/o di dose di un agente di rischio chimico o fisico che comporti un evento sfavorevole ogni 10.000 esposti; in tal caso, indipendentemente dai costi, si richiede

un’azione immediata per la riduzione del rischio stesso 1 . In questa fase gestionale del rischio che porta poi alle decisioni, gli elementi extrascientifici sono molto rilevanti, e sono stati in qualche modo codificati a livello internazionale con la normativa (anche europea) conosciuta come principio di precauzione. In questo processo metodologico, si riconosce per altro che il limitarsi ad individuare i potenziali pericoli senza una reale valutazione della loro rilevanza può produrre analisi e valutazioni scorrette (ad esempio, si può arrivare a definire e classificare esposti a rischio lavoratori che in effetti non lo sono più della popolazione generale). Da quanto detto, non deve sorprendere che esistano per identiche esposizioni limiti diversi in diversi paesi; posizioni che derivano non solo dalle diverse politiche di prevenzione che vengono adottate ma molto frequentemente da diverse valutazioni che vengono fatte degli stessi risultati scientifici. Questa constatazione ha spinto da molti anni l’OMS a varare numerosi progetti per l’armonizzazione, a livello internazionale delle procedure di valutazione del rischio e degli standard espositivi che da esse derivano. I vantaggi di una simile armonizzazione includono una protezione uguale per tutti, un aumento nella fiducia del pubblico nella scienza e nel lavoro volto alla protezione della salute, l’eliminazione di possibili limitazioni al libero commercio tra diversi paesi etc. In Italia, la matera è regolamentata dal decreto legislativo 626/94. In virtù di tale normativa, rientra nelle responsabilità del datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda, valutare la scelta delle attrezzature di lavoro la sistemazione dei luoghi di lavoro e ogni altra azione tecnica e/o organizzativa atta a ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari. null La terza parte del lavoro del Prof. Terrana riguarda l’individuazione di criteri generali coerenti con le indicazioni dalla direttiva europea, al fine di contribuire ad una sua corretta applicazione per la definizione dei rischi professionali e per la valutazione del rischio sanitario legato ad esposizioni acute (valutazione rischi per effetti acuti). Vengono comunque analizzate e discusse anche le problematiche connesse con la valutazione dei rischi associati a presunti effetti a lungo termine o stocastici, che pur non essendo ancora normati hanno visto un riconoscimento nella legge 36/2001. È proprio in questo senso che la legge quadro 36/2001 differisce sostanzialmente dalla direttiva europea. La legge quadro, infatti, con la definizione di valori di attenzione ed obiettivi di qualità intesi come misura cautelativa nei confronti di effetti a lungo termine, si pone in netto contrasto con le linee guida internazionali e quindi anche con la direttiva che a tali linee guida si ispira (e che, ricordiamolo, è stata approvata sotto la presidenza italiana e con un contributo decisivo della nostra delegazione). D’altra parte, la direttiva dovrà essere recepita dagli stati membri entro il 2008 e, visto il peso giuridico 1 D’altra parte il rischio di un evento sfavorevole su un milione di esposti viene considerato accettabile per la popolazione generale. Tra questi due livelli il rischio viene considerato tollerabile, ma non trascurabile, e l’intervento richiede una riduzione del rischio nei limiti di una ragionevole possibilità pratica.

di tale disposizione comunitaria, è auspicabile che nell’elaborare il DPCM che dovrà regolamentare l’esposizione professionale ai CEM si trovi il giusto compromesso per armonizzarlo con la direttiva. Infine, con riferimento alla sorveglianza medica, il Prof. Terrana riterrebbe adeguato un approccio graduato su una classificazione del rischio su tre livelli: rischio elevato, medio, basso. In particolare egli propone di considerare rischio elevato l’esposizione a valori superiori ai limiti della Direttiva 2004/40/CE, a medio rischio quelle superiori ai limiti di esposizione della popolazione, a basso rischio o rischio nullo le esposizioni ai valori di attenzione per la popolazione fissati dalla legislazione italiana. Su questa particolare proposta non c’è tuttavia convergenza di opinioni tra il Prof. Terrana e gli autori del presente sommario. Questi ultimi, infatti, ritengono che un approccio del tipo proposto può essere valido per altri agenti fisici diversi dai CEM; ad esempio per il rumore, che produce effetti di gravità crescente con il crescere dell’intensità secondo modelli dose-risposta noti. Nel caso invece dei campi elettrici e magnetici gli effetti noti si manifestano al superamento di una soglia ma non è possibile correlare un aumento della gravità di tali effetti con l’aumento dell’intensità del campo (e tanto meno per valori inferiori alla soglia). In questo caso, non sarebbe quindi corretto parlare di rischio in termini canonici legati alla gravità del danno biologico ma avrebbe più senso utilizzare il termine rischio solo come sinonimo di probabilità di superamento del limte di esposizione. A nostro parere, questo è la giusta interpretazione della filosofia protezionistica seguita dall’ICNIRP, ed integralmente sposata dalla direttiva che, con particolare riferimento alla sorveglianza sanitaria non prescrive nulla di più di ciò che viene già normalmente effettuato secondo la legge 626/94. Va per altro riconosciuto che su questo tema il dibattito è ancora aperto ed acceso, almeno nel nostro Paese, e probabilmente sarà l’argomento di principale discussione nei prossimi mesi ed anni.

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