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Analisi dei possibili miglioramenti della tecnologia di denitrificazione dei fumi con la riduzione catalitica selettiva; definizione delle modifiche ai sistemi sperimentali e acquisizione dei catalizzatori da testare

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Analisi dei possibili miglioramenti della tecnologia di denitrificazione dei fumi con la riduzione catalitica selettiva; definizione delle modifiche ai sistemi sperimentali e acquisizione dei catalizzatori da testare

Recently updated on Aprile 7th, 2021 at 01:14 pm

Il progetto di ricerca “EMICO – CONTENIMENTO DELLE EMISSIONI” mira nel suo complesso a fornire al sistema elettrico italiano nazionale elementi concreti per una politica ottimale di controllo delle emissioni dagli impianti di generazione per combustione. In tale contesto una attività di rilievo è indirizzata alla individuazione e valutazione di materiali catalitici innovativi che permettano di sviluppare tecnologie di abbattimento degli inquinanti più efficienti ed ecocompatibili. Con particolare riferimento agli NO x , uno degli obiettivi che ci si propone di raggiungere è la definizione e dimostrazione di un insieme di nuove tecnologie catalitiche, tese a migliorare la compatibilità ambientale dei sistemi DeNOx basati sul processo NH 3 -SCR (Riduzione Catalitica Selettiva con ammoniaca) e nello stesso tempo capaci di ridurne i costi di esercizio; tra queste rivestono interesse: l’abbattimento dell’ammoniaca rilasciata dagli impianti SCR, il processo SCR a bassa temperatura e la rigenerazione dei catalizzatori SCR. Di seguito, e separatamente per ogni tecnologia esaminata, verranno riassunti gli obiettivi, i principali risultati ottenuti ed i benefici attesi dalla applicabilità. 1. Ossidazione catalitica selettiva (SCO) dello slip di ammoniaca 1.1 Obiettivi L’abbattimento della NH 3 non reagita in uscita dai reattori DeNOx-SCR (slip), oltre a limitare l’immissione nell’ambiente esterno di inquinanti tossici e nocivi, eviterebbe la formazione di solfati e bisolfati di ammonio. Tali composti si originano per reazione tra NH 3 ed SO x e condensano successivamente nelle parti fredde degli impianti a valle dei reattori SCR-DeNOx provocandone fenomeni di incrostazione, intasamento e corrosione. L’obiettivo che ci si propone di raggiungere è la messa a punto di catalizzatori efficienti nell’abbattimento dell’ammonia-slip, basati sul principio della ossidazione catalitica selettiva (SCO) di NH 3 , da poter inserire come ultimo strato catalitico nei reattori DeNOx già installati. 1.2 Attività svolta E’ stata effettuata una rassegna sullo stato dell’arte sul processo SCO dell’ammoniaca. A testimonianza della notevole attenzione rivolta a livello internazionale al problema dell’ammonia- slip è il gran numero di lavori scientifici pubblicati in merito. L’esame della letteratura scientifica sembra indicare che si è ancora lontani dal proporre un sistema catalitico con elevata efficienza di conversione e selettività ad N 2 da poter candidare, con buone possibilità di successo, al consecutivo processo di industrializzazione. Sebbene molti catalizzatori siano stati sperimentati su scala da laboratorio, rimangono ancora aperte problematiche relative all’ottenimento di alte selettività ad N 2 per l’impiego con basse concentrazioni di NH 3 , all’inibizione dell’attività catalitica da parte del vapor d’acqua e, in molti casi, all’intolleranza ad SO 2 . Attualmente, sembra disponibile solo un catalizzatore commerciale offerto dalla Engelhard (USA) che dichiara prestazioni ottimali nella SCO di NH 3 (90% di conversione e 99% di selettività ad N 2 ) per una temperatura operativa di 260 °C. A temperature di esercizio più elevate si ha un drastico decremento della selettività con formazione di NO x . Ciò ne preclude l’impiego come ultimo strato catalitico nel reattore DeNOx operante a temperature tra 350 e 400 °C. Inoltre non viene specificato in quale range di concentrazione di NH 3 può essere impiegato con alta selettività ad N 2 e nulla è detto sulla sua stabilità ad SO 2 . La rassegna effettuata ha permesso quindi di stabilire che la tecnologia di SCO dell’ammoniaca non sembra ancora matura e, per una sua più proficua industrializzazione, sono auspicabili azioni di ricerca e sviluppo mirate alla formulazione di nuovi materiali catalitici con migliori ed accertate prestazioni.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.4/71 Al riguardo è stato predisposto un programma sperimentale di ricerca per la messa a punto di catalizzatori operanti a basse concentrazioni di NH 3 (20-100 ppm) e con elevata efficienza di conversione di NH 3 attraverso due differenti approcci: la prima riguarda lo sviluppo di catalizzatori SCO di nuova sintesi caratterizzati da elevata selettività ad N 2 , mentre la seconda prevede l’opportuna modifica della composizione chimica dei monoliti commerciali in modo da ottenere catalizzatori attivi nella SCO indipendentemente da una loro alta selettività ad N 2 . Quest’ultima possibilità comporta, pur nel pieno rispetto delle disposizioni di legge sulle emissioni, una piccola diminuzione percentuale della conversione degli NO x , ampiamente compensata dal vantaggio di un eventuale impiego, come monoliti da modificare, dei catalizzatori avvelenatisi durante l’esercizio in centrale. La sperimentazione nel suo insieme prevede anche una accurata indagine sull’individuazione e superamento dei limiti di operatività di tali materiali in ambienti aggressivi (presenza di SO 2 , H 2 O e particolato di combustione), aspetto che risulta poco indagato da parte della letteratura scientifica. 1.3 Benefici attesi Dall’ottenimento di risultati positivi in questa tematica di ricerca deriverebbero notevoli vantaggi sia all’eco-sistema sia al sistema elettrico nazionale. Questi vantaggi scaturirebbero rispettivamente da una riduzione delle emissioni nocive (NH 3 ) e da una diminuzione sia dei costi di gestione che di investimento. Infatti, lo svincolarsi dal problema della formazione di ammonia-slip consentirebbe un risparmio sulle spese di gestione, attraverso la limitazione delle fermate di manutenzione dovute a corrosione e/o intasamenti, eviterebbe l’utilizzo nei reattori DeNOx dei dispendiosi equalizzatori di flusso di NH 3 e permetterebbe di diminuire, a parità di efficienza di denitrificazione, il volume dei letti catalitici operando con un rapporto NH 3 /NO x superiore ad 1. 2. Processo SCR a bassa temperatura 2.1 Obiettivi L’impiego del processo SCR nella configurazione denominata tail-end prevede il posizionamento del reattore DeNOx dopo il precipitatore elettrostatico ed il desolforatore e prima dell’uscita al camino. In questa disposizione, per l’assenza di ceneri volanti e di SO 2 , si realizzano migliori condizioni operative dei catalizzatori a cui è conseguente un notevolmente prolungamento della loro vita di esercizio. Con i catalizzatori attualmente a disposizione, l’impiego della configurazione tail-end non risulta vantaggiosa in quanto richiede un notevole dispendio di energia per riscaldare i fumi in uscita dal desolforatore sino alla temperatura operativa del processo SCR convenzionale (350-400 °C). L’obiettivo è l’individuazione e la qualifica di catalizzatori che consentano di esercire il processo SCR a bassa temperatura, in particolare a temperature non superiori ai 150 °C. 2.2 Attività svolta Dall’esame della letteratura è emerso che esistono già alcuni sistemi catalitici commercializzati a tale scopo. Tra questi il più interessante è senza dubbio quello proposto dalla Shell (NL) che, al fine del suo impiego a bassa temperatura, associa un catalizzatore ad alta efficienza con un reattore a flusso laterale ottimizzato per conferire ai letti catalitici basse perdite di carico ed elevata resistenza meccanica. Resta da chiarire comunque se il metodo Shell è adatto per

Rapporto CESI A0/023969 Pag.5/71 l’utilizzo nelle centrali termoelettriche (mancano sorprendentemente reali applicazioni in tal senso) e se soddisfa alle richieste esigenze di elevata selettività ad N 2 (i ricercatori della Shell apparentemente non hanno indagato su questo aspetto). Altri sistemi catalitici commerciali a base di metalli nobili (Enghelhard) o in via di industrializzazione (carboni attivi) hanno prestazioni comunque limitate nelle condizioni di esercizio reali. Almeno per le applicazioni in centrali termoelettriche, si deduce che la tecnologia è ancora lontana dalle prestazioni ottimali. E’ quindi giustificata la necessità di promuovere ulteriori azioni di ricerca e sviluppo mirate all’individuazione e/o alla qualifica di catalizzatori per SCR a bassa temperatura ottimizzati per l’utilizzo in centrali termoelettriche. A riguardo è stato steso un programma sperimentale di ricerca dove si propone lo studio di catalizzatori di formulazione originale preparati in laboratorio. Inizialmente saranno testati catalizzatori a base di Mn/TiO 2 e di Mn-W/TiO 2 , ottenuti nell’ambito di una collaborazione con l’Università di Genova ed il Politecnico di Napoli. Questi materiali, in virtù di risultati preliminari, hanno buone possibilità di rivelarsi materiali di interesse industriale. Obiettivo ultimo è la loro definitiva validazione. Se sarà possibile, come ulteriore verifica, verrà anche effettuato un confronto tra questi sistemi ed i catalizzatori commerciali Shell ed Engelhard. Una seconda fase della ricerca prevede anche la possibilità di utilizzare, come catalizzatori SCR a bassa temperatura, i sistemi commerciali convenzionali V-Ti-W e V-Ti-Mo attraverso opportune modifiche della loro composizione chimica. Sistemi a base di carboni attivi, che sono da ritenersi materiali molto interessanti, saranno eventualmente anche esaminati. 2.3 Benefici attesi Lo sviluppo positivo di questa tecnologia si tradurrebbe in un indiscutibile vantaggio per il sistema elettrico sia in termini economici (costi di installazione del processo SCR nettamente inferiori, minore costo del kWh per la diminuzione dei costi di gestione del reattore DeNOx e semplificazione nell’installazione dei reattori DeNOx in particolare modo su centrali già esistenti) sia in termini di ecosistema (il notevole prolungamento della vita di esercizio dei catalizzatori riduce la produzione di rifiuti). 3. Rigenerazione dei catalizzatori SCR 3.1 Obiettivi I catalizzatori SCR a fine vita sono rifiuti di difficile smaltimento. La disponibilità di tecnologie di recupero rende il ciclo di vita maggiormente ecocompatibile assicurando nel contempo significativi vantaggi economici. Nell’ambito di questa attività si propone di svolgere azioni per l’individuazione e la validazione di procedure di rigenerazione in sito o extra-sito di catalizzatori esausti eserciti con olio combustibile e carbone. 3.2 Attività svolta Le cause di disattivazione e degrado dei catalizzatori SCR sono molteplici e si distinguono in reversibili ed irreversibili. L’analisi della letteratura brevettuale ha rivelato un notevole interesse da parte dell’industria relativamente allo sviluppo di tecniche adatte alla rigenerazione di catalizzatori avvelenati.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.6/71 La rassegna ha permesso di verificare che il know-how acquisito in CESI durante l’attività pregressa è in linea con le procedure di rigenerazione dei catalizzatori SCR ritenute perseguibili. Esso può quindi essere sfruttato con profitto nel perseguimento degli obiettivi prefissati. E’ stato steso un programma di ricerca finalizzato alla rigenerazione di catalizzatori avvelenati per l’esercizio con olio combustibile o carbone. Per l’attuale indisponibilità di catalizzatori degradati in condizioni reali di esercizio, l’avvelenamento sarà causato attraverso procedure da laboratorio. La rigenerazione verrà eseguita mettendo a confronto le seguenti tecniche: lavaggio, idropulitura, sabbiatura e idrosabbiatura. 3.3 Benefici attesi La possibilità di rigenerazione dei catalizzatori si tradurrebbe in una sensibile riduzione dei costi di esercizio dei reattori DeNOx-SCR, connessi alle sostituzioni periodiche delle cariche catalitiche esaurite, stimabile nel 10% dei costi di gestione e con un risparmio pari a quasi 4 Ml/anno per MWe installato. Il raggiungimento di tale obiettivo costituirebbe un notevole vantaggio sia per il sistema elettrico italiano (aumento della sua competitività attraverso la riduzione del costo del kWh) sia per l’ecosistema (riduzione dello smaltimento dei catalizzatori che sono rifiuti tossici e nocivi).

Rapporto CESI A0/023969 Pag.7/71 1 INTRODUZIONE Il contenimento delle emissioni di inquinanti in atmosfera si è imposto come uno dei temi di primaria importanza per la salvaguardia dell’ecosistema e della salute dell’uomo. Tra gli inquinanti gassosi derivanti dall’uso di combustibili fossili nelle centrali termoelettriche, particolare attenzione è stata rivolta al contenimento delle emissioni di ossidi di azoto, comunemente indicati come NO x . I metodi di riduzione delle emissioni, in impianti per la produzione di energia, sono raggruppabili in due categorie: metodi primari, che mirano ad evitare o ridurre la formazione di inquinanti in caldaia mediante il controllo del processo combustivo, e metodi secondari che operano a valle della camera di combustione. L’introduzione di norme legislative sempre più stringenti in termini di controllo dei quantitativi di inquinanti rilasciati in atmosfera, fa prevedere un sempre maggiore ricorso ai metodi secondari per il trattamento dei fumi delle centrali termoelettriche. Allo stato attuale il metodo di post-combustione che si è ampiamente imposto per l’eliminazione degli ossidi di azoto, da gas di combustione contenenti ancora ossigeno, è la riduzione catalitica selettiva (SCR) con ammoniaca effettuata su opportuni catalizzatori in un intervallo di temperatura compreso tra i 320 e i 400 °C. Di seguito sono riportati cenni sull’iniziale sviluppo della tecnica e sul suo attuale stato di diffusione a livello mondiale. La tecnologia SCR è stata avviata nel 1973 in Giappone e sviluppata inizialmente per caldaie alimentate a gas naturale; successivamente ne è stata verificata l’efficacia, introducendo opportune modifiche sia agli impianti che alla composizione dei catalizzatori, anche per caldaie ad olio combustibile e a carbone. Nel 1990 il numero totale di installazioni SCR-DeNOx presenti in Giappone risultava essere di 397 unità, di cui 97 operanti in centrali termoelettriche (23 alimentate a gas, 55 ad olio combustibile e 19 a carbone) per un totale di 34.689 MW di potenza elettrica, corrispondente al 40% della capacità totale di produzione di energia da parte delle centrali alimentate a combustibili fossili [1,2]. In Germania è stata importata la tecnologia giapponese ma molti sforzi di ricerca sono stati compiuti per adattarla agli specifici problemi emersi, associati al diverso tipo di combustibile ed alle diverse condizioni di operazione delle caldaie. Questi fattori, come sarà illustrato in seguito, influenzano pesantemente, oltre l’efficienza di conversione degli NO x , anche la vita media dei catalizzatori. In Germania ed Austria le prime installazioni risalgono al 1985 e da allora hanno avuto un rapido incremento: nel 1990 circa 150 impianti risultano avviati su caldaie a carbone “hard”, ad olio combustibile ed a lignite [3] per un totale di 35.000 MW elettrici installati. Negli U.S.A. la tecnologia SCR è stata invece finora poco utilizzata a causa dell’incertezza sulle prestazioni dei catalizzatori giapponesi ed europei per i combustibili americani (particolarmente per il carbone contenente alte percentuali di zolfo e ferro) [1]. Tests su impianti pilota sono stati promossi da EPRI al fine di valutare la fattibilità tecnica e l’incremento del costo dell’energia conseguente alle installazioni SCR. Impianti SCR sono già in funzione su caldaie di piccola capacità (≤ 100 MW ) in specifiche regioni quali la parte meridionale della California, caratterizzata da alti livelli di ozono che favoriscono l’ossidazione dello NO e di conseguenza la formazione di piogge acide. In totale circa 60 unità catalitiche DeNOx sono installate negli U.S.A., la maggior parte delle quali su impianti di co-generazione a ciclo combinato [1], sebbene, visto l’alto contenuto

Rapporto CESI A0/023969 Pag.8/71 di zolfo del carbone americano, negli ultimi anni le azioni di ricerca e sviluppo siano state orientate verso l’applicazione di processi combinati DeNOx/DeSOx [4]. All’inizio degli anni ’90, l’Enel ha deciso di adottare la tecnologia SCR per l’abbattimento degli NOx ed avvia le procedure di appalto per dotare di impianti DeNOx le sue maggiori centrali termoelettriche. La attuale diffusione degli impianti SCR sul territorio italiano è riassunta nella sottostante Tabella 1 [5], a cui va aggiunto un ulteriore impianto SCR-DeNOx operativo a valle dell’inceneritore di rifiuti solidi urbani della città di Bolzano.

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Rapporto CESI A0/023969 Pag.10/71 Con i 31 impianti SCR-DeNOx, di cui 30 installati su centrali termoelettriche per un totale di 13680 MW di potenza elettrica prodotta, l’Italia si pone al terzo posto, dopo Giappone e Germania, nella classifica dei paesi in cui la tecnologia di post-combustione SCR ha avuto maggiore sviluppo. I costi di installazione della tecnologia SCR-DeNOx, per sistemi con efficienza dello 80%, sono tra le 150.000 e le 250.000 Lit/kW ed i costi di gestione intorno alle 10 Lit/kW. Il volume di catalizzatore utilizzato, sempre per sistemi con efficienza dello 80%, è mediamente intorno a 1m 3 /MWe per le centrali a carbone, 0,8 m 3 /MWe per le centrali ad olio combustibile e 0,5%/MWe per le centrali a gas naturale [5]. Il prezzo del catalizzatore si aggira attorno ai 20 Mlit/m 3 ed incide pesantemente sia sui costi di investimento (il 10 % è imputabile all’acquisto della carica iniziale) che di gestione (il 10 % è dovuto al ciclo di ricambio del catalizzatore). Evidentemente, una sensibile riduzione nelle spese di esercizio dei reattori DeNOx-SCR può essere ottenuta prolungando al massimo la vita operativa dei letti catalitici. Sebbene la tecnologia SCR sia applicata con successo da circa un trentennio ed abbia oramai raggiunto livelli di sviluppo molto avanzati, parecchi suoi aspetti sono tuttora oggetto di studio da parte del mondo scientifico e tanto può ancora essere fatto per migliorarne le prestazioni e renderne economicamente meno gravoso il suo esercizio all’interno del processo di generazione di energia elettrica. In tal senso notevoli vantaggi deriverebbero dal conseguimento dei seguenti obiettivi che comporterebbero una concreta riduzione dei costi di gestione del processo SCR pur rimanendo nel pieno rispetto delle vigenti normative sulle emissioni:

Rapporto CESI A0/023969 Pag.11/71 – abbassamento dell’intervallo di temperatura, a parità di efficienza di denitrificazione del processo SCR, attraverso lo sviluppo di opportuni catalizzatori; – abbattimento dello slip di ammoniaca in uscita dal reattore DeNOx mediante formulazione di catalizzatori di ossidazione innovativi; – prolungamento della vita di esercizio dei materiali catalitici attraverso il rallentamento delle cause di avvelenamento e/o lo sviluppo di adatte procedure di rigenerazione dei materiali catalitici. Sostenere azioni di R&S che diano risultati positivi sulle suddette tematiche costituisce un valido sostegno sia al sistema elettrico nazionale, che aumenterebbe la sua competitività attraverso una tangibile riduzione del costo del KWh, sia ad altri settori industriali quali quello chimico (possibilità di produrre catalizzatori con elevate e peculiari prestazioni) e terziario (fornitura di servizi per la rigenerazione dei catalizzatori). Alla luce del consistente numero di reattori DeNOx- SCR presenti in Italia ed in Europa e del prevedibile sempre più massiccio loro impiego nei processi di denitrificazione, l’accesso al mercato connesso alla catalisi SCR costituirebbe un ragguardevole impulso per lo sviluppo economico del paese. In ambito CESI esistono competenze e infrastrutture specifiche dedicate alla catalisi SCR in grado di pianificare e sviluppare programmi di ricerca indirizzati al raggiungimento dei sopraccitati obiettivi. Tali competenze e infrastrutture, originariamente localizzate all’interno dell’Enel, per oltre un decennio hanno operato all’interno di divisioni di ricerca e successivamente sono state verificate sugli impianti Enel fornendo un supporto all’esercizio dei reattori DeNOx e dei materiali catalitici. Significativa esperienza è stata maturata sia nel campo della rigenerazione [7, 8] sia in quello della caratterizzazione funzionale e chimico-fisica dei catalizzatori in esercizio. Infatti, nonostante la recente installazione e messa in funzione dei reattori DeNOx-SCR in Italia (il primo è stato avviato nel gennaio 1997), sono già state intraprese azioni indirizzate all’individuazione tempestiva di eventuali fenomeni di degrado in modo da poterli prevenire e/o evitare [9,10]. Nel presente rapporto verranno esaminati in dettaglio sia i notevoli benefici che deriverebbero al sistema elettrico dal miglioramento delle attuali prestazioni della tecnologia SCR sia il programma di ricerca e la relativa attività sperimentale con cui si cercherà di perseguire questo obiettivo. A tal fine si è ritenuto utile: – fornire una panoramica globale della tecnologia SCR evidenziandone i problemi connessi; – illustrare lo stato dell’arte raggiunto a livello internazionale relativamente al superamento dei limiti evidenziati dalla tecnologia SCR; – proporre tecnologie innovative attraverso la validazione delle quali si potrebbe apportare un miglioramento sensibile all’attuale tecnologia SCR.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.12/71 2 PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DELLA TECNOLOGIA SCR E RELATIVE PROBLEMATICHE Nella tecnologia SCR gli ossidi di azoto sono trasformati selettivamente ad N 2 ed H 2 O con il sussidio di un riducente (NH 3 ) e di un catalizzatore (V 2 O 5 e/o WO 3 supportati su TiO 2 ). Il processo opera in una finestra di temperatura compresa tra 300 e 400 °C e si basa principalmente sulle reazioni: 4 NO + 4 NH 3 + O 2 → 4 N 2 + 6 H 2 O (1) 2NO 2 + 4 NH 3 + O 2 → 3 N 2 + 6 H 2 O (2) Inoltre, in assenza o in difetto di ossigeno anche le seguenti reazioni possono intervenire nella denitrificazione: 6 NO + 4 NH 3 → 5N 2 + 6 H 2 O (3) 6 NO 2 + 8 NH 3 → 7 N 2 + 12 H 2 O (4) La reazione tra NO ed NH 3 può anche procedere in modo non selettivo ad N 2 formando il prodotto indesiderato N 2 O secondo la reazione: 4 NH 3 + 4NO +3 O 2 → 4 N 2 O + 6 H 2 O (5) In generale, nelle tipiche condizioni di esercizio (rapporto di alimentazione NH 3 /NO=1, O 2 =2÷4% e T<400 °C), la selettività ad azoto è determinata dalle buone caratteristiche funzionali del catalizzatore. Il processo SCR ha luogo quando si produce N 2 con selettività prossima al 100% ed il rapporto tra le moli convertite di NO e di NH 3 è uguale a 1. Al contrario, si ha un comportamento non selettivo del catalizzatore quando, oltre ad N 2 , altri prodotti vengono originati (principalmente N 2 O attraverso la reazione (5) e/o quando il rapporto tra le moli di NO e di NH 3 convertite è inferiore ad 1. Ciò implica che l’ammoniaca segue un percorso di reazione diverso da (1) e (2) ed è in parte ossidata dall’O 2 , invece che da NO, secondo le seguenti reazioni: 2 NH 3 + 3/2 O 2 → N 2 + 3 H 2 O (6) 2 NH 3 + 2 O 2 → N 2 O + 3 H 2 O (7 2 NH 3 + 5/2 O 2 → 2 NO + 3 H 2 O (8) In particolare, la reazione (6) è attualmente oggetto di studio da parte della letteratura scientifica in quanto, in linea di principio, può essere sfruttata per abbattere l’eventuale fuga di NH 3 (slip) dal reattore SCR senza introdurre altri reagenti nella miscela gassosa e senza produrre ulteriori inquinanti. Questo processo, noto come SCO (ossidazione catalitica selettiva dell’ammoniaca), sarà

Rapporto CESI A0/023969 Pag.13/71 in seguito anch’esso motivo di discussione del presente rapporto. Un tipico trattamento di denitrificazione degli effluenti gassosi emessi dai processi di combustione è il seguente: il gas in uscita dal boiler-economizzatore ad una temperatura compresa tra i 300 e i 400 °C, viene miscelato con NH 3 ed inviato nel reattore catalitico dove gli NO x sono ridotti ad N 2 e H 2 O per reazione con NH 3 . Un precipitatore elettrostatico per la rimozione del particolato di combustione ed una unità di desolforazione, se necessaria, sono installati in serie dopo il reattore DeNOx. Il catalizzatore è l’elemento chiave di tutta la tecnologia SCR e dalle sue caratteristiche dipendono sia le prestazioni del processo sia l’insorgere o l’amplificazione di problematiche in genere anche associate al tipo di caldaia e/o al tipo di combustibile utilizzato. Al fine di poter comprendere l’importanza del catalizzatore nel rendimento globale del processo e di valutare i vantaggi economici che possono derivare da un miglioramento delle sue proprietà, è utile evidenziare i limiti mostrati dai materiali attualmente in commercio, in maniera da poter poi estrapolare i principali requisiti a cui essi devono soddisfare per approssimarsi all’ipotetico catalizzatore “ideale”. Innanzitutto il catalizzatore deve avere una elevata attività e selettività nei confronti della reazione NO x -NH 3 in quanto il volume di gas da trattare è estremamente grande. Ad esempio la portata dei fumi emessi da un impianto per la generazione di energia elettrica, della capacità di 700 MWe e alimentato con combustibile fossile, è dell’ordine dei 2 milioni di m 3 /h alle condizioni standard di temperatura e pressione (STP) di 25 °C ed 1 atm. La composizione dei gas di scarico varia ampiamente in dipendenza del combustibile adoperato. I gas di combustione da carbone ed olio combustibile contengono generalmente SO 2 , SO 3 e ceneri. Il catalizzatore deve essere quindi resistente all’avvelenamento da SO x (specialmente SO 3 ) per consentire prestazioni stabili e riproducibili. Inoltre deve essere minimizzata la reazione collaterale di ossidazione della SO 2 . L’ossidazione di SO 2 a SO 3 può causare fenomeni di corrosione a bassa temperatura dovuti a condensazione di acido solforico e/o a deposizione di solfati e bisolfati di ammonio nelle apparecchiature a valle del reattore DeNOx. Per il controllo della formazione dei solfati e bisolfati di ammonio riveste fondamentale importanza la limitazione dello slip di ammoniaca a valori non superiori a 5 ppm. I catalizzatori più studiati sono classificati nella sottostante tabella 2. Tab.2 – Paragone tra catalizzatori DeNOx. Tipo supporto TiO 2 Fe 2 O 3 Al 2 O 3 Attività Alta Media Media Resistenza a SO 2 Alta Bassa (*) Bassa (**) Selettività a N 2 Alta Alta (bassa sopra 450°C) Alta (bassa sopra 450°C) Ossidazione di SO 2 Bassa Alta Bassa Rigenerazione (***) Possibile Impossibile impossibile (*) formazione di Fe 2 (SO 4 ) 3 (**) formazione di Al 2 (SO 4 ) 3 (***)rimozione del deposito di NH 4 HSO 4 Alcuni catalizzatori basati su Fe 2 O 3 e Al 2 O 3 , come Fe 2 O 3 -SnO 2 , Fe 2 O 3 -WO 3 , Fe 2 O 3 supportato su Al 2 O 3 e V 2 O 5 supportato su Al 2 O 3 , hanno dimostrato avere alta attività ma si avvelenano facilmente, quando impiegati in impianti che trattano fumi contenenti SO 3 , per la loro trasformazione in solfati. Al contrario, i catalizzatori basati su TiO 2 non solo esibiscono alta attività denitrificante e selettività ad N 2 , ma resistono all’avvelenamento da SO x e contemporaneamente

Rapporto CESI A0/023969 Pag.14/71 presentano bassa attività nella reazione di ossidazione di SO 2 [11,12]. Fondamentalmente il TiO 2 , a temperature sopra i 200 °C, non reagisce né con SO 2 né con SO 3 e per tale motivo mantiene la sua struttura inalterata anche dopo lunghi periodi di esposizione a gas contenenti SO x . Di contro il biossido di titanio è un materiale più costoso rispetto a Fe 2 O 3 , Al 2 O 3 e SiO 2 e presenta maggiori problemi nella fase di formatura dei monoliti. Il biossido di titanio esiste in tre modificazioni cristalline: anatasio, rutilo e brookite. La struttura cristallina maggiormente attiva nel processo SCR è la forma stabile a bassa temperatura anatasio. Quest’ultima presenta una maggiore affinità nei confronti della fase attiva V 2 O 5 (migliore dispersione) e maggiore area superficiale specifica rispetto alla fase cristallina rutilo. Purtroppo la transizione di fase anatasio-rutilo avviene a temperatura relativamente bassa (900 °C) ed è inoltre promossa dalla fase attiva del catalizzatore V 2 O 5 che ne determina un ulteriore abbassamento (700 °C). Questa transizione di fase provoca una perdita di area superficiale specifica del catalizzatore (sinterizzazione) e conseguentemente un decremento della sua attività e selettività. Sebbene, alla temperatura di esercizio del processo SCR, la sinterizzazione del supporto avviene in maniera molto lenta, essa rappresenta un limite nei processi di formatura dove, il non poter superare i 500 °C, implica un maggior numero di accorgimenti per impartire consistenza meccanica al monolito. I componenti della fase attiva dei catalizzatori a base di TiO 2 in genere sono da individuare tra uno o più ossidi del seguente gruppo: V 2 O 5 , MoO 3 , WO 3 ed occasionalmente Fe 2 O 3 , CoO, NiO, MnO 2 , Cr 2 O 3 e CuO. Tra questi il più attivo e quindi il maggiormente utilizzato è il V 2 O 5 . I catalizzatori a base di TiO 2 promuovono la reazione DeNOx ad una temperatura della fase gassosa compresa tra i 200 e i 500 °C. A tali temperature sono però anche attivati i processi di diffusione termica che favoriscono il trasferimento sulla superficie dei catalizzatori dei metalli contenuti nelle ceneri di combustione derivanti da combustibili fossili. Tali processi sono promossi dalla presenza di vapore d’acqua e costituiscono una non trascurabile fonte di avvelenamento comune a tutti i tipi di materiali catalitici (avvelenamento di natura chimica). Il funzionamento di un impianto DeNOx nelle condizioni reali di esercizio presenta anche altri inconvenienti. Alle più elevate temperature di esercizio (>400 °C) si ottengono valori troppo elevati di conversione SO 2 –SO 3 . Poiché l’ossidazione della SO 2 è promossa da V 2 O 5 , vengono generalmente utilizzati catalizzatori del tipo TiO 2 /MoO 3 e TiO 2 / WO 3 dove è minimizzato o del tutto eliminato il contenuto di V 2 O 5 . La deposizione di bisolfato d’ammonio nei pori del catalizzatore inizia a temperatura al di sotto dei 200 °C. Nelle condizioni di stato stazionario, se nei fumi è presente SO 3 , è comunque opportuno operare almeno al disopra dei 230 °C. Al fine di evitare la formazione dei bisolfati di ammonio è di grande importanza pratica controllare l’iniezione dell’ammoniaca nei fumi di combustione in modo da massimizzare la rimozione degli NO x e minimizzare l’eccesso di slip di NH 3 . Come mostrato nella figura 1, la reazione SCR procede con un rapporto molare NH 3 /NO x pari a 1.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.15/71 Fig.1-Conversione di NOx in funzione del rapporto NH 3 /NO x Tuttavia, per limitare lo slip di NH 3 , il rapporto NH 3 /NO x in ingresso al reattore DeNOx deve essere mantenuto ad un valore prossimo a quello stechiometrico. In aggiunta, per ottenere un’elevata conversione DeNOx e un basso valore dello slip di NH 3 , l’iniezione dell’ammoniaca nel condotto fumi deve essere la più omogenea possibile. Una distribuzione uniforme della NH 3 lungo l’intero letto catalitico evita che in alcune regioni il rapporto NH 3 /NO x possa discostarsi di molto dall’unità. Per tale motivo il reattore catalitico nella parte superiore è munito di equalizzatori di flusso (vani guida e piatti di distribuzione che agiscono da attenuatori della corrente gassosa) e di un discreto numero di ugelli di iniezione dell’ammoniaca in modo da uniformarne la miscelazione. Il sistema di iniezione dell’ammoniaca comporta difficoltà di gestione ed è senza dubbio l’elemento più costoso del reattore catalitico. I fumi derivanti dalla combustione del carbone o dell’olio combustibile contengo ceneri in un ammontare variabile da alcune decine di milligrammi a qualche grammo per m 3 . E’ possibile prevenire l’accumulo del particolato di combustione e l’otturazione del letto catalitico attraverso l’utilizzo di catalizzatori del tipo a flusso parallelo. Vi sono due tipi di catalizzatori a flusso parallelo: – monoliti del tipo a piastra (fig.2) in cui piastre di catalizzatori con varie sagomature vengono assemblate in elementi delle dimensioni 500x500x500 mm; – monoliti del tipo a nido d’ape (honeycomb, fig. 3) ottenuti per estrusione del materiale catalitico per ottenere un elemento delle dimensioni di circa 150x150x600 mm con canali a sezione quadrata. Fig. 2- Monoliti a piastre Fig. 3 -Monoliti a nido d’ape

Rapporto CESI A0/023969 Pag.16/71 Sul mercato sono disponibili catalizzatori con un’intercapedine di separazione tra le piastre o con una larghezza dei canali variabile tra 4 e 10 mm. La variazione di questa dimensione determina una differenza nell’area geometrica specifica del catalizzatore. Una più elevata separazione tra le piastre o dimensione dei canali è impiegata nel trattamento dei fumi di combustione da carbone che presentano una più elevata concentrazione di ceneri. Nella figura 4 sono illustrati le possibili localizzazioni del reattore DeNO x rispetto agli altri elementi che costituiscono il complesso di una centrale termoelettrica. Il reattore catalitico DeNOx è generalmente posto tra l’economizzatore e il pre-riscaldatore dell’aria (configurazione high dust). In alcuni casi il reattore è posizionato in serie ad un precipitatore elettrostatico a caldo (configurazione low dust) ed in altri del tutto dopo il desolforatore (configurazione tail-end). L’installazione nella configurazione “tail-end” è in assoluto la più vantaggiosa dal punto di vista della vita media del catalizzatore in quanto: – nel desolforatore vengono eliminati le principali sorgenti di disattivazione e di formazione di solfati e bisolfati di ammonio: HCl, HF, SO 2 , SO 3 ; – permette di esercire il reattore DeNOx in assenza di ceneri volanti (ulteriore fonte di avvelenamento) che vengono trattenute dagli elettrofiltri; – a pari conversione di NO x è necessaria una minore quantità di catalizzatore rispetto al sistema “high dust” (essendo assente il particolato di combustione non si hanno fenomeni di occlusione dei canali dei monoliti ed è possibile ridurre la loro sezione di passaggio aumentando di conseguenza lo sviluppo della superficie geometrica di contatto). Le ultime due caratteristiche sono comuni anche alla disposizione “low dust”, ma in questo caso si ha lo svantaggio di dover operare con un precipitatore elettrostatico a caldo che, dal punto di vista economico, è molto più costoso di uno a freddo.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.17/71 Il grande svantaggio che ha reso poco diffusa la disposizione “tail end”, è il considerevole consumo di energia richiesto per riscaldare i gas effluenti ( dopo il desoforatore i fumi hanno una temperatura di 100-120 °C) alla temperatura di funzionamento del catalizzatore (300-400 °C). Di contro, la notevole diffusione della configurazione “high dust” deriva dal fatto che il gas in uscita dall’economizzatore si trova già alla temperatura ideale per il processo SCR. Nella tabella 3 vengono riassunti vantaggi e svantaggi delle tre configurazioni. Tab. 3 – Confronto fra le tre disposizioni SCR Apparecchiatura Caratteristica High dust Low dust Tail end Gas trattato 100 (*) 102 120 Tipo di catalizzatore Resistente all’erosione No No Vita del catalizzatore 2-3 anni 3-4 anni 7-8 anni DeNOx Volume catalizzatore 100 (*) 85 90 Tipo A freddo A caldo A freddo dimensioni 100 (*) 150 100 (*) NH 3 nelle ceneri Si No No Precipitatore elettrostatico NH 3 nelle acque reflue Si Si No Consumo d’energia 100 (*) 110 130 Inserimento su nuovo impianto Più facile Facile Facile Altro Inserimento su impianto già esistente Limitato Limitato Facile (*) unità arbitrarie Dalle argomentazioni finora trattate appare evidente che il processo DeNOx-SCR, sebbene sia commercialmente e tecnologicamente ben sviluppato, è ancora passibile di ulteriori progressi. Molti degli auspicabili miglioramenti sono legati a sviluppi innovativi dei materiali catalitici. L’ipotetico catalizzatore “ideale” per l’applicazione SCR nella configurazione “high dust” dovrebbe rispondere alle seguenti caratteristiche: – avere attività catalitica nulla nei confronti della indesiderata reazione di ossidazione della SO 2 a SO 3 ; – resistere indefinitamente all’avvelenamento dovuto al deposito sulla sua superficie dei metalli contenuti nelle ceneri di combustione. – esibire uno slip di NH 3 nullo nelle condizioni di esercizio adoperate; Un superamento dei limiti associati agli SO x e all’avvelenamento causato dalle ceneri si avrebbe anche attraverso lo sviluppo di catalizzatori che presentino un’elevata efficienza DeNO x a temperature prossime ai 100÷120 °C (in luogo degli attuali 300÷400 °C). In tal modo sarebbe possibile l’applicazione della configurazione “tail end” senza nessun ulteriore dispendio di energia. Gli inconvenienti connessi allo slip di NH 3 potrebbero invece essere risolti con lo sviluppo di specifici catalizzatori per l’ossidazione selettiva dell’ammoniaca ad N 2 ed H 2 O (SCO), da posizionare come ultimo strato nel reattore DeNOx.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.18/71 Infine, nel caso di catalizzatori giunti a fine vita per avvelenamento di natura chimica, la messa a punto di opportune procedure di rigenerazione dei letti catalitici esausti sarebbe l’unica via perseguibile ai fini della riduzione sia dei costi di gestione del processo SCR sia della produzione di reflui di difficile smaltimento. I paragrafi successivi saranno dedicati alla discussione di tali possibilità con l’intento di definirne lo stato dell’arte raggiunto e verificarne la fattibilità.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.19/71 3 OSSIDAZIONE SELETTIVA DELL’AMMONIACA A VALLE DEL REATTORE SCR 3.1 OBIETTIVI Come già accennato nella parte introduttiva, uno dei problemi più rilevanti di esercizio del processo SCR è il controllo del rilascio di ammoniaca (ammonia-slip) a valle del reattore DeNOx. L’ammonia-slip, nel caso di effluenti contenenti ossidi di zolfo ( gas di combustione da carbone, oli combustibili ed orimulsion), porta alla formazione di solfati e bisolfati di ammonio la cui precipitazione provoca intasamenti e fenomeni di corrosione delle apparecchiature a valle del reattore SCR e conseguenti entrate in fuori servizio della centrale termoelettrica. Inoltre, nel caso di alimentazione a carbone, l’ammoniaca non adoperata nel processo di denitrificazione viene adsorbita sulla superficie delle ceneri volanti la cui contaminazione oltre certi limiti le rende inutilizzabili come additivi nei cementi. Ciò determina la necessità dello smaltimento delle ceneri come rifiuto speciale o dell’individuazione di trattamenti idonei alla loro purificazione. Le specifiche prevedono valori di ammonia-slip non superiori a qualche ppm (5-20) , tuttavia essi aumentano nel corso della vita dei catalizzatori SCR e dipendono fortemente dalla regolazione del sistema di iniezione della NH 3 a monte del DeNOx la cui gestione risulta difficile e non riproducibile. L’individuazione di tecnologie e processi in grado di abbattere il rilascio di ammoniaca dai sistemi SCR è pertanto un obiettivo perseguito con interesse dagli utilizzatori che si traduce direttamente in un miglioramento della affidabilità e disponibilità della centrale termoelettrica. Inoltre, notevoli vantaggi economici scaturirebbero non solo da una diminuzione dei costi di gestione (evitate spese per le fermate dovute a corrosione e/o intasamenti) ma anche dalla diminuzione dei costi di investimento. Infatti, lo svincolarsi dal problema della formazione di ammonia-slip, consentirebbe di evitare l’utilizzo dei dispendiosi equalizzatori di flusso di NH 3 e di diminuire, a parità di efficienza DeNOx, il volume dei letti catalitici operando con un rapporto NH 3 /NO x superiore ad 1 (vedi fig. 1). L’obiettivo che ci si propone di raggiungere nell’ambito di tale azione è lo sviluppo e la validazione di catalizzatori attivi nell’abbattimento dell’ammonia-slip mediante ossidazione catalitica selettiva (SCO). Questa soluzione presenta bassi costi di investimento in quanto ha il notevole vantaggio di poter essere facilmente integrata nel processo SCR già esistente. Infatti, l’implementazione può essere realizzata attraverso l’inserimento nel reattore DeNOx di un ulteriore strato catalitico opportunamente formulato per l’abbattimento della NH 3 residua. 3.2 STATO DELL’ARTE La fase iniziale dell’attività è stata dedicata all’acquisizione di informazioni, attraverso una indagine nella letteratura scientifica internazionale, riguardo agli ultimi sviluppi avutisi sulla SCO dell’ammoniaca. In tale contesto, particolare attenzione è stata dedicata ad individuare l’influenza dei parametri più critici (composizione chimica del catalizzatore, finestra di temperatura di esercizio, concentrazione di ammoniaca) sull’attività e selettività del catalizzatore. Informazioni sulle problematiche di avvelenamento del catalizzatore e/o di limiti di funzionamento in presenza di SO 2 , H 2 O e particolato derivante dalla combustione erano anche ritenute di notevole interesse ma nulla è stato ancora pubblicato su tali argomenti. Premettiamo che tutti i lavori reperiti riguardano studi a livello di ricerca di base effettuati presso istituti universitari o centri di ricerca e sviluppo di industrie (Siemens e Kema). Risultano

Rapporto CESI A0/023969 Pag.20/71 completamente assenti applicazioni a livello di impianti pilota o comunque di scala superiore a quella da laboratorio. E’ quindi evidente che l’interesse nei confronti di questa tecnologia è notevole ma che ancora non esistono i presupposti per prevederne una trasferibilità in ambito industriale. I primi lavori relativi alla SCO dell’ammoniaca sono stati pubblicati agli inizi degli anni ’70, quasi contemporaneamente a quelli sul processo SCR. La SCO è stata infatti osservata inizialmente proprio sui catalizzatori SCR, la maggior parte dei quali sono anche attivi nei confronti della SCO, ma in questo caso è una reazione indesiderata e da evitare, in quanto sottrae ammoniaca al processo di denitrificazione riducendone l’efficienza di conversione. Recentemente l’interesse nei suoi confronti è notevolmente cresciuto poiché si pensa di poterla sfruttare per la riduzione delle emissioni di NH 3 in un gran numero di processi industriali e non da ultimo per l’abbattimento dell’ammonia-slip. La SCO dell’ammoniaca può essere effettuata sia in fase gassosa [11,12] che in fase liquida [13,14]. Quest’ultima possibilità non sarà qui esaminata in quanto non associabile in maniera diretta al processo SCR. Le reazioni che possono avvenire all’interfaccia tra catalizzatore e fase gassosa sono state già descritte nel capitolo 2 (reazioni 6,7,8). Idealmente, il catalizzatore per la SCO dovrebbe dimostrare alta attività e selettività ad azoto (solo la reazione 6 possibile) per l’ossidazione dell’ammoniaca a basse temperature. L’alta attività a bassa temperatura è richiesta per minimizzare i costi di esercizio associati con il riscaldamento del flusso di gas, mentre è desiderabile un’alta selettività ad N 2 per evitare inquinamento secondario con ossidi di azoto (dovuto all’intervento delle reazioni 7 e 8). Ovviamente, nel caso si voglia applicare la SCO come ultimo stadio in un reattore DeNOx-SCR per l’abbattimento dello slip di NH 3 , la finestra di temperatura ottimale sarà indirettamente fissata dalle condizioni di esercizio del processo SCR (300-400 °C). I primi studi di un certo rilievo sulla SCO della NH 3 furono effettuati da Il’Chenko et al. [11,12,15] che hanno messo a confronto un gran numero di catalizzatori. In generale, essi dimostrano che i metalli sono più attivi degli ossidi metallici e che tra i metalli quelli nobili sono i più efficienti. I metalli da loro testati esibivano una selettività ad N 2 O ed un’attività catalitica specifica decrescente nel seguente ordine: Pt, Pd>Ni>Fe>W>Ti. Nel caso degli ossidi metallici la selettività ad N 2 O aveva il successivo andamento: MnO 2 , NiO>Co 3 O 4 >Fe 2 O 3 >SnO 2 >CdO>CuO>TiO 2 >ZnO, Bi 2 O 3 , PbO, ZrO 2 , MoO 3 , WO 3 . L’attività catalitica specifica decresceva invece con una sequenza leggermente differente: Co 3 O 4 , MnO 2 >CuO>NiO> Bi 2 O 3 > Fe 2 O 3 >V 2 O 5 > TiO 2 > CdO>PbO>ZnO> SnO 2 > ZrO 2 > MoO 3 > WO 3 . Cavani e Trifirò riportano studi sulla SCO di NH 3 su catalizzatori V 2 O 5 /TiO 2 [16]. Dalle loro evidenze sperimentali risulta che il pentossido di vanadio supportato su TiO 2 nella fase cristallina rutilo è più attivo e selettivo ad N 2 rispetto a quello supportato su anatasio. Nella sottostante fig. 5 si nota come l’attività e la selettività sono più elevate a temperatura più bassa di 340 °C mentre diminuiscono a temperature superiori.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.21/71 Fig. 5- Resa in N 2 (�P,�O) e N 2 O (�Q,�T) in funzione della temperatura di reazione; 25%V 2 O 5 /TiO 2 (anatasio): simboli pieni. 25%V 2 O 5 /TiO 2 (rutilo):simboli vuoti. Le percentuali di V 2 O 5 da supportare per ottenere elevate efficienza di conversione ad N 2 devono essere molto elevate (15-25% in peso) e molto al di sopra di quelle corrispondenti alla formazione del monolayer. Gli autori mettono ciò in relazione con la specie V 5+ fortemente interagente con il supporto (definita insolubile in quanto non asportabile per lavaggio con una soluzione acquosa di ammoniaca a pH=11). Quest’ultima, una volta superata nel catalizzatore la composizione corrispondente al ricoprimento del supporto con un monolayer, incrementa linearmente con il contenuto di V 2 O 5 . Nell’articolo nulla è detto sulle condizioni operative adoperate nei tests catalitici (concentrazione NH 3 , concentrazione O 2 e velocità spaziale). A nostro avviso, comunque, tali catalizzatori non possono essere adoperati per l’abbattimento dello slip di NH 3 dei reattori DeNOx, almeno per fumi di combustione ad alto tenore di SO 2 . Infatti, catalizzatori ad elevato contenuto di V 2 O 5 sono notoriamente molto attivi nella reazione di ossidazione SO 2 -SO 3 e ciò, come già discusso precedentemente, costituisce un notevole inconveniente. Wollner et al.[17] riportano che il sistema costituito da ossidi misti Cu/Mn supportati su TiO 2 è un discreto catalizzatore per la SCO di NH 3 . La struttura bimetallica Cu/Mn esplica un effetto sinergico in quanto l’attività degli ossidi misti risulta di molto superiore rispetto a quella dei singoli componenti (fig. 6). La conversione totale dell’ammoniaca è raggiunta a 330 °C con formazione del 5-10% di NO (fig. 7) e senza nessuna specificata produzione di N 2 O. I tests catalitici sono stati effettuati in un reattore integrale (d.i.=10mm) contenente 0.3 g di catalizzatore ed alimentato con una portata di 1l/min di N 2 contenente 600 ppm di NH 3 e 6% di O 2 . Nessuna prova relativa allo studio della dipendenza dell’efficienza di conversione da altri importanti parametri di processo (concentrazione di NH 3 , tenore di H 2 O vapore ed SO 2 ) e dell’attività catalitica nei confronti della reazione SO 2 -SO 3 è riportata.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.22/71 Fig.6 – Confronto tra l’ossidazione di Fig.7 – Formazione di NO durante NH 3 di CuMnx: (a) 580 K, (b) l’ossidazione di NH 3. (*)CuMn0 550 K (�{)CuMn 2 , (+) CuMn 4 , (x) CuMn 6 ,, (∇) CuMn 0 , (�„)CuMn 10 Biermann e Janssen [18] trovano che catalizzatori a base di MoO 3 supportati su SiO 2 catalizzano l’ossidazione di NH 3 con elevata attività e selettività ad N 2 ed H 2 O per temperature più alte di 280 °C e per contenuti di MoO 3 superiori al 15% in peso. Test catalitici effettuati in presenza di NO (NH 3 /NO=1) evidenziano l’invariabilità della concentrazione di NO e quindi la non promozione da parte del catalizzatore di meccanismi del tipo SCR (reazioni 1, 2, 3, 4 e 5). La presenza di piccole quantità di Pb (2,6% in peso) aumenta la conversione di NH 3 mentre lascia invariata la selettività ad azoto. I risultati, riassunti nelle figg. 8 e 9, sono stati ottenuti con una corrente di He (6 l/h) in miscela con NH 3 (500ppm), NO (500ppm) e O 2 (2%) alimentata in un reattore a letto fisso (d.i.=3,8 mm) contenente 50 mg di catalizzatore. Fig.8 – Livelli di concentrazione dei reagenti Fig.9 – Concentrazione di N 2 nel gas in e dei prodotti in funzione della tempe- uscita a 400°C in funzione del ratura del catalizzatore Mo(Pb) con contenuto di MoO 3 per il cataliz- più del 15 wt% di MoO 3 . zatore Mo(Pb)(�X) e Mo (��). Il Pb varia tra 0.2 e 3.2 wt%.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.23/71 M. de Boer et al. [19] paragonano catalizzatori a base di MoO 3 , V 2 O 5 e WO 3 studiando l’influenza del tipo di supporto e del suo grado di ricoprimento con la fase attiva. I loro risultati sono riassunti nella sottostante tabella 4, dove i numeri in parentesi nella sigla del catalizzatore indicano la percentuale in peso dell’ossido metallico sul supporto. Tab. 4 – Confronto tra vari catalizzatori effettuato alla temperatura in cui si ha il 75% di conversione di NH 3 e nelle seguenti condizioni operative: [NH 3 ]=1000ppm, [O 2 ]=2% in Ar, Q=100 ml/min, reattore a letto fisso (d.i.=8mm) con 200 mg di catalizzatore. Gli stessi autori studiano l’influenza della concentrazione di NH 3 variandola tra 1000 e 4200 ppm. L’attività e la selettività a N 2 del catalizzatore incrementano fortemente con la pressione parziale di NH 3 e la temperatura a cui ha inizio la formazione di NO si innalza all’aumentare della concentrazione di NH 3 (tab.5). L’intervallo di [NH 3 ] indagato è comunque troppo elevato rispetto a quello d’interesse per l’abbattimento dello slip di ammoniana dai reattori DeNOx (20-100 ppm). Tab.5 – Selettività ad N 2 in funzione della concentrazione di NH 3 misurata sul catalizzatore Mo(26) nelle stesse condizioni operative della tabella 4. Studi sul sistema catalitico MoO 3 /SiO 2 sono stati effettuati anche da Enel in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università di Genova [20]. L’incremento del contenuto di MoO 3 dal 6 al 12% in peso causa un aumento dell’attività catalitica. Un ulteriore incremento del carico di MoO 3 (16 e 21% in peso) non porta invece ad apprezzabili variazioni nella conversione dell’ammoniaca. Tutti i catalizzatori esaminati mostrano una temperatura di innesco della SCO prossima ai 250 °C ed una massima selettività ad N 2 attorno ai 300 °C. La selettività ad N 2 diminuisce all’incrementare della temperatura ma viene notevolmente stabilizzata dall’aumento del carico di MoO 3 (fig.10). Conversioni di NH 3 prossime al 100% si ottengono a T>400 °C.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.24/71 Fig.10 – Dati di attività catalitica dei campioni MoO 3 (x)/SiO 2 nell’ossidazione catalitica di NH 3 La dipendenza dell’attività e della selettività ad N 2 dalla concentrazione di NH 3 (70-960 ppm) e H 2 O vapore (0 – 1% v/v) è stata anche investigata. L’attività catalitica non sembra influenzata dalla concentrazione di NH 3 mentre la selettività ad N 2 diminuisce alle basse concentrazioni di NH 3 (fig.11). Fig.11 – Effetto della concentrazione in ingresso di NH 3 sull’attività catalitica del campione MoO 3 (16)SiO 2 . La concentrazione di NH 3 è: a) 960 ppm, b) 430 ppm, d) 70 ppm.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.25/71 La concentrazione di H 2 O vapore influenza negativamente l’efficienza di conversione di NH 3 ma l’effetto si livella per [H 2 O]>0.5% e diminuisce alle alte temperature. La presenza di vapor d’acqua migliora comunque la selettività ad N 2 (fig.12). Fig.12 – Effetto dell’acqua sull’attività catalitica del campione MoO 3 (16)/SiO 2 nell’ossidazione di NH 3 . La concentrazione in ingresso di H 2 O è di 0.5% v/v Il drogaggio del catalizzatore con Bi sembra aumentare l’attività e la selettività ad N 2 del catalizzatore che si stabilizza ad oltre il 95% a temperature tra 300 e 500 °C (fig. 13). Fig 13 – Dati di efficienza catalitica del campione MoO 3 (16)/SiO 2 attivato con Bi, Pb e Te nell’ossidazione catalitica di NH 3

Rapporto CESI A0/023969 Pag.26/71 N.N. Sazonova e collaboratori testano catalizzatori con differenti fasi attive e supporti. Visto il gran numero di catalizzatori provati è stato ritenuto opportuno riportare in allegato la tabella 1A che ne riassume i risultati. Il confronto dei dati riportati porta alla conclusione che i più attivi e selettivi ad N 2 corrispondono a V 2 O 5 /TiO 2 , CuO/TiO 2 e zeoliti Y sostituite con Cu. Queste ultime sono state riportate come attive anche in altre pubblicazioni [21]. Y. Li ed J.N. Armor [22] confrontano Pd, Pt e Rh supportati su Al 2 O 3 e zeolite ZSM-5 con catalizzatori V 2 O 5 /TiO 2 e Co-ZSM-5 nel range di temperatura 200-400 °C. I metalli preziosi sono molto attivi nella SCO di NH 3 e l’aggiunta di vapore d’acqua al 5% (v/v) non influisce drasticamente sulla conversione di NH 3 alle alte temperature, mentre un sostanziale decremento è notato tra 200 e 250 °C. In generale, a parità di contenuto in metallo, le zeoliti ZSM-5 scambiate sono più attive dei catalizzatori supportati su Al 2 O 3 e meno influenzate dalla presenza di H 2 O. La selettività ad N 2 sembra invece non dipendere dalla natura del supporto e risulta elevata per Pd e Rh e bassa per Pt, che produce alti livelli di N 2 O. In confronto, il catalizzatore V 2 O 5 /TiO 2 (5% in V) è abbastanza selettivo ad N 2 per T<300 °C, ma presenta attività molto inferiore rispetto ai catalizzatori a base di metalli nobili e una drammatica influenza del vapore d’acqua sull’efficienza di conversione di NH 3 . Il catalizzatore Co-ZSM-5 è il meno attivo tra quelli testati e produce alti livelli di NO. Anche in questo caso le tabelle (2A, 3A, 4A, 5A) che riassumono i risultati delle prove sono riportate in allegato. Anche se non è tra gli scopi di questo rapporto, accenniamo brevemente alla cinetica della SCO della NH 3 in quanto ci sarà utile nell’interpretazione di alcuni comportamenti e limitazioni mostrati dai materiali catalitici. Il meccanismo proposto e generalmente accettato [23,24,25,26] può essere schematizzato nel modo seguente, dove per semplicità sono state considerate solo specie adsorbite sulla superficie del catalizzatore: NH 3(ads.) → NH 2(ads.) + H + (ads.) + e (9) 2 NH 2(ads.) → NH 2(ads.) NH 2(ads.) (10) NH 2(ads.) NH 2(ads.) → N 2 + 4 H + (ads.) + 4 e (11) 2 H + (ads.) + O 2- → H 2 O (12) Gli elettroni prodotti nelle reazioni di ossi-deidrogenazione sono catturati dai cationi metallici presenti sulla superficie del catalizzatore (Cu 2+ , Fe 3+ , V 5+ , Mo 6+ , ecc.) che vengono ridotti. In presenza di ossigeno questi siti metallici vengono riossidati dando origine alla reazione: O 2 + 4 e → 2 O 2- (13) La somma delle reazioni 2x(9)+(10)+(11)+3x(12)+3x(13) dà origine alla reazione globale di SCO della NH 3 (6). Altre reazioni collaterali possono avvenire sulla superficie del catalizzatore come ad esempio:

Rapporto CESI A0/023969 Pag.27/71 NH 2(ads.) → NH (ads.) + H + (ads.) + e (14) NH (ads.) + O 2- → HNO + 2 e (15) HNO → NO + H + + e (16) che danno luogo alla formazione di NO, il principale prodotto di ossidazione dell’ammoniaca alle alte temperature. Di contro, la presenza di NO indirizza il processo verso il differente cammino di reazione sotto indicato: NH 2(ads.) + NO → N 2 + H 2 O (17) La reazione (17), almeno alle basse temperature, è molto più veloce della (10). Per tale motivo, in presenza di NO, il processo SCR (di cui la (17) è la reazione chiave) è favorito rispetto alla SCO di NH 3 . Infine , un’altra possibile reazione collaterale che può aver luogo in presenza di NO è la seguente: NH (ads.) + NO → N 2 O + H + + e (18) Per quanto sopra detto, la specie NH 2(ads.) NH 2(ads.) è quella più importante ai fini dell’instaurarsi della reazione SCO di NH 3 . Affinché sia consentita la sua formazione è necessario che siano presenti due siti metallici adiacenti su cui l’ammoniaca possa essere adsorbita. Rispetto alla formulazione del catalizzatore e alle sue condizioni di esercizio ottimali, il meccanismo cinetico discusso ha le seguenti importanti implicazioni: 1. il carico di fase attiva sul catalizzatore deve essere elevato in modo da aumentare la probabilità di avere siti metallici adiacenti; 2. il supporto deve impartire al catalizzatore un’area superficiale specifica elevata ma non deve favorire eccessivamente la dispersione della fase attiva. Siti adiacenti sono più probabili nell’ossido metallico cristallino; 3. sia il supporto che la fase attiva devono presentare caratteristiche acide in modo da avere maggiore affinità chimica verso NH 3 ; 4. la presenza di acqua nella corrente di alimentazione deprime l’attività catalitica in quanto compete con NH 3 nell’adsorbimento sui siti metallici; 5. la presenza di NO può indirizzare la reazione verso la formazione di NO 2 ; 6. concentrazioni elevate di NH 3 favoriscono la selettività ad N 2 in quanto aumentano la probabilità che su siti adiacenti vengano adsorbite due molecole di ammoniaca. La maggiore limitazione all’applicabilità della SCO all’abbattimento dello slip di NH 3 è probabilmente da ricercare nelle conseguenze derivanti da quanto affermato al punto 6. Infatti, in uscita dal reattore DeNOx si è generalmente in presenza di una bassa concentrazione di ammoniaca che sfavorisce la formazione della specie NH 2(ads.) NH 2(ads.) e porta la reazione verso la formazione di NO (reazioni 14, 15 e 16) e/o di N 2 O (reazione 18). Un altro aspetto da valutare, quasi completamente trascurato dalla letteratura scientifica, è l’interazione del catalizzatore con gli SO x presenti nei fumi di combustione. Recentemente Hodnett e collaboratori [27] hanno riportato dati relativi alle prestazioni in presenza di SO 2 ed H 2 O di

Rapporto CESI A0/023969 Pag.28/71 catalizzatori basati sul CuO-Al 2 O 3 con eventuali altri metalli. Questo sistema produce selettività ad N 2 del 90-95% nell’ossidare ammoniaca a 325 °C ma con conversioni tra 45 e 75% in dipendenza della velocità spaziale. L’attività catalitica aumenta fino al 100% senza perdere selettività quando il catalizzatore è drogato con Pb (1% in peso di PbO). Il vapor d’acqua migliora la selettività ad N 2 senza causare una grande disattivazione, mentre la presenza di SO 2 , pur aumentando la selettività, causa un netto calo di attività (10-30%). Sebbene sia stata posta molta attenzione nel ricercare applicazioni industriali della SCO all’abbattimento dello slip di NH 3 , è stato reperito un unico lavoro [28] in cui si fa cenno ad un catalizzatore recentemente commercializzato (probabilmente dalla Engelhard) adatto a tale scopo. Nulla è specificato sul tipo di catalizzatore utilizzato e sulla sua composizione ma viene riportato il seguente grafico riassuntivo delle sue prestazioni (fig. 14). Fig. 14- Possibile distruzione di NH 3 dopo il catalizzatore SCR

Rapporto CESI A0/023969 Pag.29/71 3.3 PROGRAMMA SPERIMENTALE E MATERIALI CATALITICI DI PROVA Sulla base delle informazioni raccolte in letteratura verranno condotte prove su catalizzatori preparati in laboratorio eseguendo una parametrizzazione completa del processo al fine di individuare la formulazione del catalizzatore per cui risultano ottimizzate le prestazioni in termini di efficienza di conversione di NH 3 e di selettività ad N 2 . Verranno testati differenti supporti, scelti tra quelli più comunemente adoperati (TiO 2 , Al 2 O 3 , SiO 2 ), e varie fasi attive, costituite da ossidi di metalli citati nella letteratura come i maggiormente efficienti (CuO, MoO 3 , V 2 O 5 ). Ciò permetterà di stabilire la migliore combinazione supporto–fase attiva. Catalizzatori a diverso carico di ossidi metallici, e quindi a diverso grado di ricoprimento, saranno anche testati al fine di determinare la percentuale ottimale ai fini dell’ottenimento di siti catalitici adiacenti con caratteristiche spinte di attività e selettività. L’influenza del drogaggio con altri elementi metallici (Pb e Bi) sarà anche indagata. Si tenterà inoltre di acquisire il catalizzatore commerciale Engelard citato nel paragrafo precedente in modo da poter effettuare un confronto con i catalizzatori preparati in laboratorio. Le prove saranno condotte in modo da simulare le reali condizioni di esercizio (NH 3 =10-100 ppm, O 2 =3%, H 2 O=10%, SO 2 = 1000 ppm e NO= 70-100 ppm, T=250-400 °C) In una fase successiva verrà anche esaminata la possibilità di utilizzare come catalizzatori per la SCO dell’ammoniaca i sistemi commerciali V-Ti-W e V-Ti-Mo, attualmente adoperati nel processo SCR, opportunamente modificati nella composizione chimica. Questi ultimi sono disponibili sotto forma di monoliti e quindi, prima dell’utilizzo nelle prove di attività catalitica, saranno sottoposti a macinazione e setacciatura. Ciò consentirà di ottenere catalizzatori in polvere a granulometria controllata le cui prestazioni sono direttamente confrontabili con quelle dei catalizzatori di formulazione originale preparati in laboratorio. L’analisi dei risultati ottenuti nella caratterizzazione dei catalizzatori preparati per via sintetica e dei catalizzatori commerciali, fornirà informazioni utili circa la possibilità di modificare opportunamente la composizione dei monoliti commerciali con l’aggiunta di additivi chimici in modo da ottimizzare e/o ottenere attività catalitica nei confronti della SCO di NH 3 . I catalizzatori commerciali modificati verranno preparati in laboratorio mediante impregnazione delle polveri con opportune soluzioni contenenti gli elementi da additivare e verranno quindi testati al fine di verificarne l’attività e la selettività ad N 2 . Se in questa fase saranno conseguiti risultati positivi, si tenterà di modificare la composizione dei catalizzatori commerciali operando direttamente sui monoliti a nido d’ape mediante impregnazione degli stessi con opportune soluzioni. I monoliti modificati saranno quindi sottoposti a tests di attività SCO in un impianto ad hoc. La possibilità di preparare monoliti per la SCO di NH 3 attraverso l’opportuna modifica di quelli SCR già disponibili sul mercato, presenta il grande vantaggio di poter evitare il complicato e costoso processo di formatura del catalizzatore in polvere. Inoltre, potrebbe essere possibile modificare l’ultimo strato di catalizzatore installato nel reattore DeNOx o, addirittura, quelli scaricati per fine vita. Infatti, considerato l’elevato grado di ricoprimento con fase attiva che probabilmente dovrà essere realizzato per ottenere attività nella reazione di SCO dell’ammoniaca, le cause di avvelenamento (chimico e sinterizzazione), che hanno reso esausti i monoliti SCR, potrebbero essere mascherate e risultare ininfluenti rispetto alla nuova funzione di catalizzatore SCO. Presumibilmente le maggiori difficoltà che verranno incontrate nell’ottimizzazione del catalizzatore riguarderanno l’ottenimento di alte selettività ad N 2 . In caso di insuccesso nel raggiungimento di tale obiettivo, verrà anche verificata la possibilità di modificare opportunamente la composizione chimica dei catalizzatori commerciali in modo da ottenere materiali con elevata

Rapporto CESI A0/023969 Pag.30/71 efficienza di conversione dell’ammoniaca ma con bassa selettività ad N 2 . In questo caso lo slip di ammoniaca verrebbe convertito ad NO e/o N 2 O e non ad N 2 e H 2 O. Ciò potrebbe non influire eccessivamente sull’efficienza globale del processo. Infatti, considerate le basse concentrazioni di ammonia-slip in gioco (10-30 ppm), la non selettività ad N 2 della SCO di NH 3 provocherebbe solo un piccolo decremento (2-4%) nella efficienza di denitrificazione. D’altra parte, potendo operare con un rapporto NH 3 /NO>1, una conversione degli NO x prossima al 100% può essere agevolmente raggiunta ottenendo così una efficienza globale di processo del 96-98% e rimanendo abbondantemente al di sotto dei limiti imposti dalle normative di legge. In ogni caso, la perdita di una piccola percentuale di conversione degli NO x sarebbe ampiamente compensata dal completo abbattimento dell’ammonia-slip e dalla conseguente eliminazione dei problemi di incrostazione e corrosione delle apparecchiature a valle del reattore DeNOx causati dalla formazione di solfati di ammonio. Da evidenze sperimentali riscontrate in passato, anche il deposito di ossido di potassio sulla superficie dei catalizzatori (tipico avvelenante contenuto nelle ceneri di combustione dei combustibili fossili) impartisce ai catalizzatori un forte potere ossidante con selettività ad NO e/o N 2 O. Per tale motivo verranno testati nella SCO di NH 3 anche catalizzatori con differenti contenuti di K, verificando anche in questo caso la possibilità di impiego di catalizzatori a fine vita. A scopo riassuntivo, nella seguente tabella 6 vengono riportati i catalizzatori che saranno oggetto di studio nell’ambito di un programma ipotizzato triennale. Le composizioni riportate devono intendersi come indicative e passibili di variazione se la sperimentazione darà suggerimenti in tal senso. Tabella 6 – Materiali catalitici su cui verranno effettuate le prove Tipo catalizzatore Supporto Fase attiva % wt. Fase attiva Materiale prova Drogante o additivi (%wt.) N° totale Campioni Preparato in laboratorio TiO 2 CuO, MoO 3 ,V 2 O 5 5, 10,20 Polveri Pb(1-3%) Bi(1-3%) 15 Preparato in laboratorio Al 2 O 3 CuO, MoO 3 ,V 2 O 5 5, 10,20 Polveri Pb(1-3%) Bi(1-3%) 15 Preparato in laboratorio SiO 2 CuO, MoO 3 ,V 2 O 5 5, 10,20 Polveri Pb(1-3%) Bi(1-3%) 15 Preparato in laboratorio TiO 2 WO 3 , V 2 O 5 ,MoO 3 V 2 O 5 (0.2-1%) WO 3 ,MoO 3 (10%) Polveri K 2 O 3 Commerciale TiO 2 WO 3 , V 2 O 5 ,MoO 3 V 2 O 5 (0.2-1%) WO 3 ,MoO 3 (10%) Polveri CuO,MoO 3 ,V 2 O 5 (in alte %) Pb(1-3%)Bi(1-3%) 9 Commerciale TiO 2 WO 3 , V 2 O 5 ,MoO 3 V 2 O 5 (0.2-1%) WO 3 ,MoO 3 (10%) Polveri K 2 O 3 Commerciale TiO 2 WO 3 , V 2 O 5 ,MoO 3 V 2 O 5 (0.2-1%) WO 3 ,MoO 3 (10%) Monoliti CuO,MoO 3 ,V 2 O 5 (in alte %) Pb(1-3%)Bi(1-3%) 6 Commerciale Engelhard Non rip. Non riportata Non rip. Monoliti Non riportata 1

Rapporto CESI A0/023969 Pag.31/71 Tutti i materiali catalitici saranno caratterizzati con le seguenti tecniche di analisi al fine di caratterizzare la tipologia dei siti attivi e di poter correlare l’attività catalitica con le loro proprietà morfologiche: – misure B.E.T. per la determinazione dell’area superficiale specifica e la valutazione della dimensione e distribuzione dei micropori; – porosimetria ad intrusione di mercurio per la determinazione della dimensione e distribuzione dei macropori; – analisi di diffrazione dei raggi X (XRD) per l’individuazione delle fasi cristalline presenti e la determinazione della dimensione dei cristalliti; – analisi di spettroscopia di fotoemissione di raggi X (XPS) per la determinazione quantitativa degli elementi presenti in superficie e la loro speciazione relativamente alla natura dei legami chimici; – analisi di spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier (FT-IR) e di riflettanza diffusa nell’infrarosso a trasformata di Fourier (DRFT-IR) per la valutazione della dispersione delle specie chimiche sul supporto e l’individuazione della natura dei siti acidi; – analisi di microscopia elettronica a trasmissione associata a microanalisi di raggi X con sistema in dispersione di energia (TEM-EDS ) per lo studio delle proprietà morfologiche e l’analisi qualitativa delle specie chimiche presenti nel bulk del catalizzatore; – analisi di emissione atomica in plasma (ICP) e di spettroscopia di fluorescenza a raggi X (XRF) per la determinazione quantitativa degli elementi chimici presenti nel bulk.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.32/71 4. ABBATTIMENTO DEGLI NO x MEDIANTE PROCESSO SCR A BASSA TEMPERATURA 4.1 OBIETTIVI L’attuale disponibilità dei materiali catalitici limita il funzionamento efficace del processo SCR a temperature tra 300 e 400 °C. Questo limite ha portato all’applicazione industriale della tecnologia SCR nella configurazione high-dust, con il reattore DeNOx inserito direttamente tra uscita caldaia ed ingresso preriscaldatore (Luijstroem). Con questa disposizione i catalizzatori operano con gas ad elevato contenuto di ceneri che, depositandosi sulla superficie dei monoliti, causano occlusione dei pori e dei canali della loro struttura ad honeycomb. Per mantenere inalterate l’efficienza di denitrificazione si deve quindi periodicamente ricorre a soffiature del reattore DeNOx per mezzo di vapore spillato dalla turbina che causano un calo nel rendimento del processo di generazione di energia elettrica. I catalizzatori sono inoltre soggetti ad un degrado rilevante che impone frequenti cambi a cui è conseguente produzione di rifiuti di non facile smaltimento. Una configurazione alternativa, denominata tail-end, prevede il posizionamento del reattore DeNOx dopo il precipitatore elettrostatico ed il desolforatore e prima dell’uscita al camino. In questo caso, possedendo i fumi prima del camino una temperatura tra i 100 e i 150 °C, si rende necessario un preriscaldamento del gas. Nel tail-end, le migliori condizioni di esercizio imputabili all’assenza di ceneri volanti e di SO 2 , allungano notevolmente la vita del catalizzatore ma ciò non riesce a compensare il consumo di energia causato dal riscaldamento dei fumi in uscita dal desolforatore sino alla temperatura di 300-400 °C. L’individuazione e la qualifica di catalizzatori che consentano di esercire il processo SCR a bassa temperatura (in particolare a temperature attorno ai 120 °C) è pertanto un obiettivo perseguito con estremo interesse dagli utilizzatori. In più la disposizione in tail-end permetterebbe, in particolar modo su centrali già esistenti, una rilevante semplificazione nell’installazione dei reattori DeNOx. Nel caso di reattori DeNOx già operanti in configurazione high-dust, un abbassamento della temperatura di esercizio del processo SCR consentirebbe un miglior sfruttamento del preriscaldatore- aria con conseguente aumento del rendimento termico della caldaia. L’attività sperimentale che si propone di svolgere nell’ambito di tale azione è l’individuazione e la qualifica di catalizzatori per SCR a temperatura intorno ai 120 °C in modo tale da poter installare il reattore DeNOx prima dello scarico al camino senza bisogno di preriscaldamento dei fumi. Ciò si tradurrebbe in un indiscutibile vantaggio sia per il sistema elettrico (costi di installazione del processo SCR nettamente inferiori e minore costo del kWh per la diminuzione dei costi di gestione del DeNOx) sia per l’ecosistema (il notevole prolungamento della vita di esercizio dei catalizzatori riduce la produzione di rifiuti).

Rapporto CESI A0/023969 Pag.33/71 4.2 STATO DELL’ARTE Anche in questo caso l’inizio dell’attività ha riguardato l’effettuazione di una indagine nella letteratura mirata principalmente all’acquisizione dello stato dell’arte sulla formulazione e preparazione di catalizzatori adatti all’utilizzo del processo SCR a basse temperature. In questa fase sono stati individuati i sistemi catalitici più attivi ed esaminati per ciascuno di essi i limiti di funzionamento in presenza di H 2 O. Nessuna indicazione è stata reperita circa le problematiche di avvelenamento e dei limiti di funzionamento in ambienti ostili caratterizzati dalla presenza di ceneri di combustione. L’applicazione in tail-end a cui i catalizzatori SCR a bassa temperatura sono destinati spiega la mancanza nella letteratura di tali informazioni. Per lo stesso motivo, in alcuni lavori è stata invece esaminata l’influenza della presenza di SO 2 per concentrazioni dell’ordine di alcune decine di ppm. Contrariamente a quanto osservato per la tecnologia di SCO della NH 3 , quella SCR a bassa temperatura ha già avuto un certo sviluppo commerciale e sono stati reperiti lavori, anche se in numero molto limitato, relativi ad applicazioni industriali. Il meccanismo cinetico coinvolto nella reazione SCR a bassa temperatura (SCR-LT) è identico a quello già discusso in dettaglio nei paragrafi precedenti. In realtà catalizzatori con elevata efficienza di conversione nella SCR-LT sono già noti da tempo e a tutti gli effetti possono considerarsi i precursori dei catalizzatori SCR adoperati attualmente nella finestra di temperatura 300-400 °C. Infatti, il motivo per cui questi ultimi operano a temperature più elevate è da imputare al minimo contenuto di vanadio (che come già detto costituisce la fase attiva) impiegato per raggiungere il giusto compromesso tra una sufficiente conversione degli NO x ed una bassa attività nella reazione di ossidazione SO 2 -SO 3 . La finestra di temperatura può essere spostata verso valori inferiori attraverso l’aumento del contenuto di fase attiva ma ciò causa una netta diminuzione della selettività del catalizzatore che genera non trascurabili percentuali di N 2 O. La produzione di N 2 O, anche se in parte inibita dalla presenza di vapor d’acqua, incrementa all’aumentare del contenuto di vanadio. A parte i catalizzatori a base di V 2 O 5 con i limiti sopra evidenziati, altri materiali che esibiscono attività DeNOx a bassa temperatura sono quelli costituiti da metalli nobili. In particolare, catalizzatori al Pt sono già commercializzati dalla Engelhard [28]. Il loro utilizzo è previsto nel trattamento fumi privi di SO 2 , a cui il materiale risulta intollerante, e per una finestra di temperatura delimitata tra 150-300 °C che, a detta del produttore, può essere variata entro limiti non specificati. Nella seguente figura 15, le prestazioni del catalizzatore al Pt vengono confrontate con quelle dei sistemi V 2 O 5 /TiO 2 (media temperatura) e zeolitici (alta temperatura). Nella tabella 7 vengono invece riassunte le loro caratteristiche operative .

Rapporto CESI A0/023969 Pag.34/71 Fig. 15- Confronto tra le prestazioni del catalizzatore al Pt con quelle dei sistemi V 2 O 5 /TiO 2 (media temperatura) e zeolitici (alta temperatura). Tabella 7 – Caratteristiche operative di differenti tipologie di catalizzatori SCR Catalizzatore media temperatura -VNX TM (V 2 O 5 /TiO 2 ) T=260-425 °C il più largamente diffuso 10-15 anni di esperienza acquisita tollerante alla esposizione ad SO 2 Catalizzatore alta temperatura – ZNX TM (zeolite) T=345-590 °C Conversione NO x molto elevata Slip NH 3 molto basso Decomposizione della NH 3 Tollerante alla esposizione ad SO 2 sopra i 425 °C Catalizzatore a bassa temperatura (a base di Pt) T=150-300 °C Stretta finestra di temperatura Spostamento della finestra di temperatura Intollerante alla esposizione ad SO 2 A.T. Krishnan e A.L. Boehman hanno studiato le prestazioni a bassa temperatura di un catalizzatore commercializzato dalla Engelhard a base di Pt denominato NO x CAT920LT TM [29]. Il catalizzatore è costituto da una struttura ceramica a nido d’ape (100 celle per pollice quadrato) ricoperta con la fase attiva. Le indagini sperimentali hanno riguardato l’influenza della velocità spaziale e delle concentrazioni di NH 3 , SO 2 ed H 2 O sull’efficienza di conversione degli NO x e sulla selettività ad N 2 . I risultati dei tests eseguiti sono riassunti nelle seguenti figure 16-19.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.35/71 Fig.16-Conversione di NO (simboli pieni) e selettività a N 2 ( simboli vuoti) in funzione della temperatura di ingresso, per diverse velocità spaziali : (�O) 12000 h -1 , (�Q) 4000 h -1 e (�W) 48000 h -1 . La composizione della miscela è 500 ppm NO, 400 ppm di NH 3 , 20 ppm SO 2 , 5 vol% H 2 O, 4vol% O 2 e N 2 a bilancio. Fig.17-Conversione di NO (simboli pieni) e selettività a N 2 ( simboli vuoti) in funzione della temperatura di ingresso, per diverse concentrazioni di NH 3 : (�O) 400 ppm, (�Q) 500 ppm e (�W) 600 ppm. La velocità spaziale è di 24000 h -1 e la composizione della miscela è 500 ppm NO, 20 ppm SO 2 , 5 vol% H 2 O, 4vol% O 2 e N 2 a bilancio.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.36/71 Fig.18 Conversione di NO (simboli pieni) e selettività a N 2 ( simboli vuoti) in funzione della temperatura di ingresso, per diverse concentrazioni di SO 2 : (�O) 0 ppm, (�Q) 20 ppm e (�W) 100 ppm. La velocità spaziale è di 12000 h -1 e la composizione della miscela è 500 ppm NO, 400 ppm NH 3, 5 vol% H 2 O, 4vol% O 2 e N 2 a bilancio. Fig.19 Conversione di NO (simboli pieni) e selettività a N 2 ( simboli vuoti) in funzione della temperatura di ingresso, per diverse concentrazioni di vapori di H 2 O: (�O) 0 vol%, (�Q) 5 vol% e (�W) 8.8 vol%. La velocità spaziale è di 24000 h -1 e la composizione della miscela è 500 ppm NO, 400 ppm NH 3 , 4 vol% O 2 e N 2 a bilancio. Dall’analisi dei risultati emerge che il catalizzatore può operare in un range di temperatura tra 150 e 350 °C ma presenta un massimo di conversione degli NO x (circa 80% con selettività prossima a

Rapporto CESI A0/023969 Pag.37/71 60%) alla temperatura di 280 °C e ad una velocità spaziale di 12000 h -1 . Un ulteriore incremento della velocità spaziale sopprime sia l’efficienza di conversione che la selettività (fig.16). La concentrazione ottimale di NH 3 risulta essere quella in rapporto stechiometrico con gli NO x (fig.17) La SO 2 non ha un drastico effetto sull’attività catalitica in quanto provoca solo una diminuzione di circa il 15% sul picco di conversione e per piccole percentuali (20 ppm) migliora la selettività ad N 2 (fig.18). Anche se non vengono riportati tests di avvelenamento per tempi di esposizione prolungati, questo risultato appare in contrasto con quanto affermato dagli stessi ricercatori della Engelhard [28] che dichiarano espressamente una intolleranza ad SO 2 del catalizzatore. Una drastica diminuzione della conversione è invece causata alle basse temperature dalla presenza di H 2 O a cui però è conseguente un miglioramento della selettività ad N 2 . L’effetto negativo del vapor d’acqua è irrilevante alle alte temperature e si livella per concentrazioni superiori al 5 % in volume (fig.19). Un altro sistema catalitico con buona attività SCR-LT, che sembra stia raggiungendo livello industriale [30], è il carbone attivo (AC). Negli ultimi anni molte pubblicazioni sono state dedicate a tali catalizzatori con l’intento di migliorarne le prestazioni attraverso l’utilizzo di nuovi materiali e di diverse tecniche di attivazione. Infatti, l’attività dipende in modo tangibile sia dall’origine del carbone attivo sia dai pre-trattamenti ossidativi effettuati allo scopo di produrre in superficie gruppi ossigenati a carattere acido. I pretrattamenti vengono generalmente effettuati o per riscaldamento in aria a temperature tra 200 e 600 °C o per riscaldamento in corrente di vapore a temperatura elevata (700-900 °C) o per trattamento con acido nitrico a bassa temperatura (60-100 °C). Altri gruppi superficiali ritenuti fondamentali per il compimento della reazione SCR sono i gruppi funzionali azotati a carattere basico i quali generalmente non vengono originati attraverso trattamenti sintetici ma sono insiti nel materiale di partenza. Il meccanismo cinetico proposto per la SCR su carbone attivo prevede i seguenti step: 1) reazione tra un gruppo funzionale azotato (Z * ) e ossigeno con la formazione di un intermedio reattivo superficiale: Z * + ½ O 2 ↔ Z(O) (19) 2) reazione tra l’intermedio ed NO che viene ossidato ad NO 2 : Z(O) + NO → NO 2 (20) 3) adsorbimento dell’ammoniaca su gruppi superficiali ossigenati a carattere acido e di NO 2 su siti azotati a carattere basico; 4) reazione tra molecole di NO 2 e di NH 3 adsorbite su siti contigui che dà luogo alla formazione di N 2 ed H 2 O. Sia i carboni attivi in granuli che in fibre hanno mostrato un comportamento atipico quando adoperati come catalizzatori SCR: l’andamento dell’efficienza di conversione presenta generalmente un minimo a temperature attorno ai 180-230 °C per poi ricominciare a crescere.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.38/71 J. Muniz et al. [31] confrontano fibre di carbonio, attivate con varie procedure, nelle seguenti condizioni di prova: reattore a letto fisso (d.i.= 2 cm), [NO]=700 ppm, [NH 3 ]=800 ppm, [O 2 ]=3%, Q=18 l/h, quantità di catalizzatore=2 g, T=100-400 °C. I risultati sono parzialmente riassunti nella sottostante figura 20 dove è evidente la presenza di un minimo di conversione tra 150 e 200 °C. Gli autori, anche in virtù di quanto proposto da altri gruppi [32,33], spiegano la formazione di questo minimo con l’esistenza di due meccanismi di reazione operativi rispettivamente uno a bassa e l’altro ad alta temperatura. Il meccanismo a bassa temperatura coinvolge essenzialmente fisiadsorbimento delle molecole di NO 2 ed NH 3 che si accumulano sulla superficie del carbone attivo. L’iniziale decremento con la temperatura della conversione di NO è quindi conseguente alla diminuzione del fisiadsorbimento con l’aumentare della temperatura stessa. A temperature più elevate si instaura invece un meccanismo basato su chemiadsorbimento di NO e NH 3 . Fig. 20- Riduzione di NO su fibre di carbonio attivate con H 2 O e CO 2 L’attività catalitica delle fibre di carbone attivo sperimentate in questo lavoro è drasticamente influenzata dalla presenza di acqua (fig. 21). L’effetto è drammatico alle basse temperature (a 100 °C, per un contenuto di H 2 O del 10% in vol., la conversione diminuisce dal 60% al 10%) mentre non è osservato per T>300 °C. Nulla è invece accennato sull’influenza della SO 2 e sulla selettività ad N 2 . J. Pasel et al. [34] propongono come catalizzatori SCR-LT ossidi metallici (Fe 2 O 3 , Cr 2 O 3 e CuO) supportati su carboni attivi granulari pretrattati con acido nitrico concentrato a 90 °C per 1 h (A90) o con aria a 400 °C (A400). Essi mettono a confronto diverse specie di carboni attivi e studiano l’influenza del carico di ossidi metallici sull’efficienza di conversione e sulla selettività ad N 2 . Nella seguente figura 22 sono riassunti i risultati più significativi. Le condizioni di misura impiegate sono le seguenti: reattore a letto fisso (d.i=10 mm), [NO]=[NH 3 ]=800 ppm, [O 2 ]=3%, Q=6l/h, quantità di catalizzatore=4 g, T=100-500 °C).

Rapporto CESI A0/023969 Pag.39/71 Fig. 21 Effetto dell’acqua sull’efficienza di riduzione di NO con fibre di carbonio Fig.22 –Confronto tra la formazione di N 2 e N 2 O in presenza di ossigeno sul carbone attivo A90 con 10 % wt di Fe, Cr, Cu e i supporti A90 e A400 senza metalli In questo lavoro, il catalizzatore con le migliori prestazioni si è rivelato quello a base di Fe 2 O 3 (circa 100% di conversione e 100% di selettività ad N 2 a T=140-340 °C) che presenta anche una elevata stabilità per esposizione prolungata (50 h) a SO 2 (340 ppm) ad una temperatura non specificata. Il catalizzatore a base di CuO, anche se promettente, denota un significante avvelenamento irreversibile causato dalla formazione di CuSO 4 in presenza di SO 2 (fig. 23). Non sono state effettuate prove al fine di determinare l’influenza di H 2 O sull’attività.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.40/71 Fig. 23-Influenza di SO 2 in presenza di ossigeno sull’attività catalitica del carbone attivo A90 caricato rispettivamente con 10wt% di Fe o Cu Z. Zhu e collaboratori trovano che anche il V 2 O 5 supportato su carbone attivo (ossidato con HNO 3 concentrato a 60 °C per 1 h) ha buone prestazioni nella SCR-LT [35]. Dalle misure di attività catalitica, effettuate nel range di temperatura 90-250 °C, emerge che mentre l’efficienza di conversione del solo AC diminuisce progressivamente con la temperatura di operazione, quella di V 2 O 5 /AC aumenta sino a raggiungere il 100% a 250 °C (fig.24). Il contenuto di V 2 O 5 ha una influenza rilevante sull’efficienza di conversione solo sino al 5% in peso. Per carichi superiori l’attività si mantiene costante per poi subire un minimo decremento attorno al 17% in peso di V 2 O 5 (fig. 25). Fig. 24 –Conversione di NO in funzione della temperatura di reazione per i catalizzatori 5 wt% V 2 O 5 / AC e AC. Condizioni di reazione: 500 ppm NO, 560 ppm NH 3 ,3.3% O 2 , Ar a bilancio; velocità spaziale :36000 h -1 per 5 wt% V 2 O 5 / AC e 10000 h -1 per AC.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.41/71 Fig. 25 – Effetto della concentrazione di V 2 O 5 sull’attività del catalizzatore V 2 O 5 / AC calcinato a 500 °C. Condizioni di reazione: 500 ppm NO, 560 ppm NH 3 , 3.3 % O 2 , Ar a bilancio; velocità spaziale 90000 h -1 , temperatura di reazione 250 °C Nel lavoro è anche riportato uno studio sull’influenza della SO 2 (400 ppm) sull’efficienza di conversione. L’anidride solforosa esplica un notevole effetto promotore con esiti molto più marcati nei catalizzatori a basso contenuto di V 2 O 5 . Il catalizzatore V 2 O 5 (1%)/AC dopo 4 h di esposizione ad SO 2 mostra un salto di efficienza (dal 58% al 93%) che lo porta ad avere una efficienza addirittura superiore rispetto a quella di V 2 O 5 (5%)/AC esposto ad SO 2 per lo stesso tempo. L’anidride solforosa non ha invece quasi nessun effetto sul catalizzatore costituito dal solo AC (fig. 26). Prove di stabilità eseguite sul catalizzatore V 2 O 5 (1%)/AC nelle condizioni operative di fig. 23 ed in presenza di 400 ppm di SO 2 hanno indicato che nessuna disattivazione è riscontrabile dopo 260 h di operazione. Anche in questo caso non sono state effettuate prove in presenza di vapor d’acqua e mancano indicazioni sulla selettività ad N 2 . Fig.26 – Effetto dell’ SO 2 sull’attività dei catalizzatore V 2 O 5 / AC e AC. Condizioni di reazione: 500 ppm NO, 560 ppm NH 3 , 3.3 % O 2 , Ar a bilancio; velocità spaziale 90000 h -1 , temperatura di reazione 250 °C

Rapporto CESI A0/023969 Pag.42/71 Gli stessi autori riportano studi effettuati sul sistema CuO/AC [36] dove il carbone attivo è stato pretrattato con le stesse modalità riportate in [35]. Viene investigata l’influenza sull’efficienza di conversione della temperatura di calcinazione del catalizzatore e del carico di fase attiva giungendo alle seguenti conclusioni: – la temperatura ottimale di calcinazione risulta essere 250 °C. Temperature inferiori non permettono la completa decomposizione ad ossido del Cu(NO 3 ) 2 impiegato come precursore di CuO (individuato come fase attiva), mentre temperature superiori causano la riduzione dello CuO, da parte del AC, ad aggregati di Cu 2 O e successivamente di Cu metallico; – nel range di contenuto di CuO investigato (0÷20% in peso), quello al 5% mostra le migliori prestazioni SCR. A carichi più elevati l’aggregazione di specie contenenti Cu causa una diminuzione dell’attività. Nella seguente figura 27 sono riassunte le prestazioni del 5%CuO/AC a diverse temperature ed al variare del tempo di operazione. A T<180 °C il catalizzatore mostra una graduale diminuzione dell’efficienza di conversione con il prolungarsi del tempo di reazione, mentre a T≥180 °C raggiunge una conversione del 97% nelle condizioni di stato stazionario. Ciò è spiegato con la probabile formazione di specie superficiali NO e/o NH 3 inattive alle basse temperature ma attive alle alte. Invece, il graduale incremento di attività che è osservato su tutti i catalizzatori dal tempo zero sino a circa 1 h, è interpretato con l’iniziale coesistenza sulla superficie del AC di CuO e Cu 2 O. La successiva ossidazione di Cu 2 O a CuO, da parte di O 2 e/o NO, determina un aumento di attività durante la reazione. Tale ipotesi è avvalorata dal fatto che la lenta crescita iniziale della conversione non è osservata se il catalizzatore è trattato precedentemente a 180 °C in una corrente gassosa contenente il 10% in volume di O 2 . Fig.27 – Attività catalitica in funzione del tempo e della temperatura del catalizzatore 5wt%CuO/AC calcinato a 250°C. Tra i sistemi SCR-LT individuati nella nostra indagine bibliografica, quello che senza dubbio merita maggiore attenzione ed ha raggiunto il maggior livello di industrializzazione è il processo Shell DeNOx [37], in seguito abbreviato SDS. L’elevata efficienza alle basse temperature

Rapporto CESI A0/023969 Pag.43/71 di questo sistema non è fondata esclusivamente sulla messa a punto di un nuovo catalizzatore ma anche sul parallelo sviluppo di un reattore di diversa concezione. In pratica, l’innovazione del processo consiste nell’aver abbinato un catalizzatore molto attivo, non più in forma di monoliti, ad un reattore a flusso laterale (LFR). Allo scopo di comprendere il principio di funzionamento su cui si basa il processo SDS, esaminiamo brevemente le caratteristiche del catalizzatore e del reattore LFR. Il catalizzatore commerciale impiegato nel SDS è prodotto a Gent dalla Shell Belga ed è protetto da brevetto[38]. Esso è costituito da granuli di piccole dimensioni con composizione V/Ti in percentuale non riferita. I granuli sono contenuti in involucri di rete a maglia metallica aventi la forma di lastre piane di piccolo spessore. Le lastre a loro volta sembrano siano assemblate in modo da costituire un modulo di dimensione e forma non specificata. Allo scopo di realizzare la bassa perdita di carico imposta dal tipo di processo, questi moduli sono montati all’interno di un reattore a flusso laterale. Il loro posizionamento si effettua su una griglia di supporto che ha la duplice funzione di sostenere il peso dei moduli e di assicurare una sigillatura a tenuta di gas tra i moduli e la griglia stessa. Un sistema di vaporizzazione ed iniezione di NH 3 completa la struttura. Le caratteristiche progettuali del LFR assicurano che il 100% del flusso di gas circoli all’interno del sottile strato di catalizzatore e che il gas attraversi il modulo solo una volta (fig.28). Inoltre, per qualsiasi direzione del flusso (ascendente, discendente o orizzontale) si ha un utilizzo ottimale del volume del reattore disponibile Fig. 28 – Schema del flusso dei gas all’interno del catalizzatore LFR Secondo quanto affermato dagli stessi ricercatori della Shell, la configurazione del reattore a flusso laterale del SDS elimina molte restrizioni presenti nel processo SCR convenzionale. In quest’ultimo la forma e le dimensioni del catalizzatore (monoliti a nido d’ape o a piastra) sono il risultato di un compromesso tra la loro resistenza meccanica, la perdita di carico e l’attività globale. Nel SDS, poiché le caratteristiche di resistenza meccanica e di perdita di carico sono state demandate al reattore LFR, il catalizzatore è stato ottimizzato esclusivamente rispetto alla sua efficienza di conversione. Dal confronto riportato in figura 29 si nota come l’attività intrinseca del catalizzatore SDS eccede di molto quella di un tipico catalizzatore a nido d’ape consentendogli di operare a più bassa temperatura.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.44/71 Fig. 29-Confronto tra l’attività del catalizzatore Shell DENOX e un tipico catalizzatore honeycomb A proposito del catalizzatore impiegato nel processo SDS si ritiene opportuno fare alcune considerazioni riguardo la sua composizione e la sua conclamata attività catalitica. I ricercatori della Shell affermano manifestatamente che il catalizzatore è un sistema a base di V e Ti ad elevata attività e ottimizzato per l’impiego nei reattori LFR. Quasi certamente il catalizzatore in questione è costituito, come i monoliti utilizzati nel processo SCR convenzionale, da V 2 O 5 supportato su TiO 2 . Con questo sistema, molto probabilmente, l’unica possibilità di ottenere l’elevata efficienza di conversione a bassa temperatura riportata nella fig.29, dovrebbe essere quella di aumentare notevolmente il contenuto di V 2 O 5 (10-15% in peso). In questo caso, come è ormai noto dalla letteratura scientifica, il catalizzatore mostra una elevata selettività ad N 2 O. Tale effetto, generalmente riscontrato alle alte temperature, potrebbe essere limitato per le temperature di esercizio del SDS o dall’utilizzo nelle particolari condizioni fluidodinamiche del reattore LFR. Comunque, è quanto meno sorprendente che, almeno nei lavori da noi esaminati, i ricercatori della Shell non riferiscano mai sulla selettività ad N 2 del loro catalizzatore. Nel reattore LFR l’uso di catalizzatore in particelle di piccole dimensioni riduce gli effetti dovuti alle limitazioni diffusive nei pori e ne permette un più elevato utilizzo. Rispetto al sistema SCR convenzionale, la combinazione di un materiale catalitico di tipo granulare e di un LFR consente un miglior contatto tra il gas da trattare e il catalizzatore in quanto: – il gas è forzato attraverso il sottile strato catalitico dei moduli (costituito da pellets ad elevata superficie di contatto) e non all’interno dei canali paralleli del monolito a nido d’ape; – il cammino tortuoso del gas attraverso le lastre piane contenenti i granuli di catalizzatore consente un migliore utilizzo di quest’ultimo con conseguente maggiore efficienza DeNOx e minimo slip di ammoniaca. In pratica, mentre nel sistema SCR convenzionale la superficie di reazione coincide essenzialmente con la superficie geometrica dei monoliti, nel SDS viene sfruttata maggiormente l’area superficiale specifica del catalizzatore. Ciò permette di impiegare un maggiore ammontare di catalizzatore per unità di volume del reattore che, a parità di conversione di NO x e di portata del gas da trattare, consente di ridurre le dimensioni dell’impianto DeNOx (fig. 30).

Rapporto CESI A0/023969 Pag.45/71 Fig. 30 – Confronto tra i volumi di catalizzatore necessari per sistemi del tipo SDS e del tipo honeycomb (350 °C) Per le ragioni sopra esposte, nel reattore LFR le perdite di carico possono essere limitate incrementando il volume del reattore e di conseguenza il numero di moduli. In tal modo il SDS può essere progettato per qualsiasi perdita di carico (nell’intervallo 2-50 mbar) senza influire sull’efficienza DeNOx. Ovviamente il sistema SDS è stato progettato per essere installato nella configurazione “tail-end” in assenza di particolato solido e in presenza di basse concentrazioni di SO 2 . Gli stessi produttori indicano come unica causa di avvelenamento reversibile la possibile formazione di solfati e/o bisolfati di ammonio. Per tale motivo, anche se in teoria il SDS può operare con elevata efficienza a partire da 120 °C, è consigliabile, a seconda del contenuto di SO 2 e di NH 3 , un innalzamento della temperatura di esercizio determinabile attraverso il grafico di figura 31, in modo da evitare la formazione di sali solfatati sulla superficie del catalizzatore. Nella tabella 8 sono riportate le applicazioni già installate a livello mondiale le quali, per quanto riferito, operano con un costo tra 300 e 3000 $/(ton annue di NO x rimosso) comprendente il costo totale di installazione (incluso il costo del capitale) e i costi di esercizio (manutenzione, consumo di ammoniaca, ecc.).

Rapporto CESI A0/023969 Pag.46/71 Fig. 31- Deposizione di solfato di ammonio: pressione parziale di equilibrio di NH 3 e SO 3 Tabella 8 – Impianti SCR-SDS già installati in applicazioni industriali. Applicazione Locazione Conv. % Temp. °C Portata Nm 3 /h Caldaia raffineria LA, Calfn >99 200 30.000 Olanda >90 260 40.000Caprolattame Corea (2 unità) >90 260 40.000 Olanda >80 120 2.000Motore a gas Austria >80 260 3.000 Impianto per catalizzatori Belgio >99,5 220 20.000 Cracking etilene Germania >80 150 350.000 Sud Africa >90 180 80.000Impianto acido nitrico Europa >90 170 30.000 Inceneritore rifiuti Olanda >85 220 65.000 San Francisco >90 190 250.000 San Francisco (3 turbine) >90 190 400.000 per turbina Turbine a gas Gulf Coast >90 165 50.000 Come si può notare, tra le applicazioni citate non sono presenti centrali termoelettriche alimentate a carbone o ad olio combustile e non è chiaro se ciò è dovuto ad un limite della tecnologia. A tal proposito fanno riflettere l’affermazione riportata tra le righe in [38] che il sistema SDS è adatto per il trattamento di fumi di combustione di gas combustibile/gas naturale ed il grafico di figura 29 e la tabella 8 dove sono riportati flussi massimi dell’ordine dei 10 5 Nm 3 /h contro i 10 6 Nm 3 /h tipicamente prodotti dalle centrali termoelettriche alimentate a combustibile fossile. Per concludere ci pare il caso di citare alcuni sistemi catalitici, in via di sviluppo presso laboratori di ricerca universitari, basati su diversi ossidi metallici riportati come attivi nella reazione SCR-NH 3 a temperature molto basse. F. Kapteijn et al. propongono ad esempio l’applicazione di

Rapporto CESI A0/023969 Pag.47/71 sistemi a base di Mn/Al 2 O 3 [39,40], mentre altri ossidi, come per esempio cromia amorfa, incidentalmente sono stati osservati essere attivi a basse temperature. Più recentemente il gruppo di catalisi dell’Università di Genova in collaborazione con il gruppo del Politecnico di Napoli hanno individuato sistemi a base di Mn-TiO 2 che risultano molto attivi a circa 200 °C e selettivi ad N 2 in presenza di vapor d’acqua [41].

Rapporto CESI A0/023969 Pag.48/71 4.3 PROGRAMMA SPERIMENTALE E MATERIALI CATALITICI DI PROVA Sulla base delle informazioni raccolte in letteratura verranno condotte prove di efficienza di conversione DeNOx su catalizzatori di formulazione originale preparati in laboratorio eseguendo una parametrizzazione completa del processo SCR al fine di individuare le condizioni di esercizio attraverso le quali risultano ottimizzate le prestazioni del catalizzatore in termini di efficienza di conversione di NO x e di selettività ad N 2 . Le prove saranno condotte su catalizzatori sotto forma di polveri ed in condizioni simulanti quelle reali di esercizio (NO=700 ppm, NH 3 =700 ppm, O 2 =3%, H 2 O=10%). Poiché i materiali catalitici sviluppati sono destinati all’utilizzo alle basse temperature ed in configurazione “tail-end”, verrà investigato un range di temperatura compreso tra 120 e 250 °C e saranno effettuate prove di stabilità ad SO 2 per concentrazioni limitate (20-100 ppm). Principalmente saranno testati catalizzatori ottenuti nell’ambito del contratto di collaborazione con l’Università di Genova ed il Politecnico di Napoli. Tali materiali sono essenzialmente costituiti da sistemi a base di Mn/TiO 2 e di Mn-W/TiO 2 . In virtù dei risultati preliminari ottenuti dai ricercatori dell’Università di Genova, questi catalizzatori hanno buone possibilità di rivelarsi materiali di interesse industriale. Proprio per tale motivo è stata avviata una collaborazione con il CESI con l’obiettivo di una loro definitiva validazione. Si ritiene opportuno, al di là di una verifica ulteriore della effettiva efficacia di questi catalizzatori nella reazione NH 3 -SCR a bassa temperatura, uno studio dell’effetto della presenza di SO x . In effetti, la formulazione a base di biossido di titanio dovrebbe consentire solo la solfatazione superficiale e quindi di mantenere, come per i sistemi a base di V-TiO 2 , una elevata attività in presenza di SO x . Comunque, a scopo cautelativo, sono stati anche preparati sistemi a base di Mn-W-TiO 2 ipotizzando che la presenza di WO 3 consenta di limitare ulteriormente la solfatazione del catalizzatore. Inoltre, l’aggiunta di altri additivi (Cu, V,ecc) potrebbe rivelarsi utile ai fini dell’incremento di attività. Come verifica finale, di fondamentale importanza sarebbe il confronto tra il comportamento di questi sistemi con quello di catalizzatori commerciali come ad esempio i catalizzatori Shell o Engelhard. A tal fine si cercherà di compiere azioni opportune per il reperimento di tali materiali e verrà vagliata la possibilità di una formatura del catalizzatore di tipo granulare (tipo Shell-LFR), da inserire in opportuni involucri di rete a maglia metallica, che sarà poi testata presso i laboratori CESI. In una seconda fase verrà esaminata la possibilità di utilizzare come catalizzatori per SCR a basse temperatura i sistemi commerciali V-Ti-W e V-Ti-Mo, attualmente in uso, attraverso opportune modifiche della loro composizione chimica. Questi ultimi sono disponibili sotto forma di monoliti e quindi prima dell’utilizzo saranno sottoposti a macinazione e setacciatura allo scopo di ottenere un catalizzatore in polvere con una granulometria che consenta di confrontare in modo diretto le loro prestazioni con quelle dei catalizzatori di formulazione originale preparati in laboratorio. I catalizzatori commerciali modificati verranno preparati in laboratorio mediante impregnazione delle polveri con opportune soluzioni contenenti gli elementi da additivare (Mn, Cu, V,ecc) e verranno quindi testati al fine di verificarne l’attività e la selettività alle basse temperature. I vantaggi derivanti dall’ottenere sistemi SCR-LT partendo da monoliti commerciali sono gli stessi di quelli già illustrati nel caso della SCO di NH 3 e descritti in dettaglio nel paragrafo 3.3. Al fine di non lasciare inesplorata la possibilità di utilizzo dei carboni attivi, che come abbiamo visto sono da ritenersi sistemi molto interessanti, si cercherà di prendere contatti con gruppi di ricerca esperti nella sintesi di carboni attivi (da utilizzare tal quali o come supporto di ossidi

Rapporto CESI A0/023969 Pag.49/71 metallici) in modo da avviare collaborazioni per lo sviluppo di nuovi catalizzatori SCR a bassa temperatura basati su tali materiali. A scopo riassuntivo, nella seguente tabella 9 vengono riportati i catalizzatori che saranno oggetto di studio nell’ambito di un programma ipotizzato triennale. Le composizioni riportate devono intendersi come indicative e passibili di variazione se la sperimentazione darà suggerimenti in tal senso. Tabella 9 – Materiali catalitici su cui verranno effettuate le prove Tipo catalizzatore Supporto Fase attiva % wt. Fase attiva Materiale prova Eventuali droganti o additivi (%wt.) N° totale Campioni Preparato in laboratorio TiO 2 MnO 3 (10%) Polveri 1 Preparato in laboratorio TiO 2 MnO 3 + WO 3 MnO 3 (10%) WO 3 (10%) Polveri 1 Preparato in laboratorio TiO 2 MnO 3 Polveri CuO(1-10%), V 2 O 5 (1-10%) 6 Preparato in laboratorio TiO 2 MnO 3 + WO 3 Polveri CuO(1-10%), V 2 O 5 (1-10%) 6 Commerciale TiO 2 WO 3 , ,MoO 3 V 2 O 5 (0.2-1%) WO 3 ,MoO 3 (10%) Polveri MnO 3 (5-10%),V 2 O 5 (3-6%) CuO(1-10%) 12 Commerciale TiO 2 WO 3 , V 2 O 5 ,MoO 3 V 2 O 5 (0.2-1%) WO 3 ,MoO 3 (10%) Monoliti MnO 3 (5-10%),V 2 O 5 (3-6%) CuO(1-10%) 6 Commerciale Shell TiO 2 V 2 O 5 Non riportata Polveri 1 Commerciale Shell TiO 2 V 2 O 5 Non riportata Granuli in involucro di rete 1 Preparato in laboratorio TiO 2 MnO 3 MnO 3 (10%) Granuli in involucro di rete CuO(1-10%), V 2 O 5 (1-10%) 3 Preparato in laboratorio TiO 2 MnO 3 + WO 3 MnO 3 (10%) WO 3 (10%) Granuli in involucro di rete CuO(1-10%), V 2 O 5 (1-10%) 3 Preparato in laboratorio Carboni attivi V 2 O 5 , MnO 3 , CuO V 2 O 5 (5-10%), MnO 3 (5-10%), CuO(1-10%) Polveri 12 Preparato in laboratorio Carboni attivi V 2 O 5 , MnO 3 , CuO V 2 O 5 (5-10%), MnO 3 (5-10%), CuO(1-10%) Granuli in involucro di rete 3 Tutti i catalizzatori oggetto di studio saranno caratterizzati con le medesime tecniche chimico-fisiche (BET, Porosimertia ad intrusione di mercurio,XPS, FTIR, DRIFT, XRD, SEM, TEM) e con le medesime finalità descritte precedentemente nel paragrafo 3.3.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.50/71 5. LA RIGENERAZIONE DEI CATALIZZATORI SCR 5.1 OBIETTIVI Le cause di disattivazione e degrado dei catalizzatori SCR sono molteplici e, come vedremo in seguito, dipendono da numerosi fattori e possono essere distinte in reversibili ed irreversibili. Nel caso di avvelenamento reversibile la possibilità di rigenerazione dei catalizzatori si tradurrebbe in una sensibile riduzione dei costi di esercizio dei reattori DeNOx-SCR connessi alle sostituzioni periodiche delle cariche catalitiche esaurite (circa il 10% dei costi di gestione). Sulla base delle esperienze di esercizio tedesche può essere ipotizzato un consumo di catalizzatore pari ad 1/3 della carica iniziale ogni 2 anni. Visto che il rapporto tra la carica iniziale di catalizzatore e la potenza elettrica istallata è pari a 1,1 m 3 /MWe e che il costo del catalizzatore è di circa 20 Ml/m 3 , si può stimare un risparmio sulle spese di gestione pari a 3,7 Ml/(anno · MWe) (1.1 m 3 /MWe · ½ · 1/3 anno –1 · 20 Ml/m 3 ). Nell’ambito di questa attività si propone di svolgere azioni all’individuazione e la validazione di procedure di rigenerazione extra-situ di catalizzatori esausti eserciti con olio combustibile e carbone. Il raggiungimento di tale obiettivo costituirebbe un notevole vantaggio sia per il sistema elettrico italiano (aumento della sua competitività attraverso la riduzione del costo del kWh) sia per l’ecosistema (riduzione dello smaltimento dei catalizzatori che sono rifiuti tossici e nocivi).

Rapporto CESI A0/023969 Pag.51/71 5.2 PANORAMICA SULLE PRINCIPALI CAUSE DI DISATTIVAZIONE DEI CATALIZZATORI SCR Allo scopo di inquadrare le problematiche relative all’avvelenamento dei catalizzatori SCR e di poter individuare i casi in cui è possibile un loro recupero attraverso la rigenerazione, riteniamo opportuno esaminare brevemente, in modo del tutto generale, le molteplici cause di disattivazione dei catalizzatori SCR. L’entità e l’incidenza di ciascun fenomeno degradativo dipende da numerosi fattori: caratteristiche peculiari del catalizzatore, natura e composizione del combustibile di alimentazione della centrale, collocazione del reattore DeNOx nell’ambito del sistema di trattamento fumi, procedure di esercizio del reattore, tipologia della camera di combustione. Nella seguente tabella 10 si è schematizzato in modo sintetico le tipologie e cause di avvelenamento dei catalizzatori cercando di associarle agli effetti che ne derivano. Tabella 10 – Cause di degrado dei catalizzatori SCR e relative conseguenze. Meccanismo Cause Effetti Incrostazioni ed intasamento dei canali Compattazione di ceneri volanti al di sotto del punto di fusione Blocco delle vie di trasporto dei reagenti Blocco dei pori Condensazione capillare di solfati di ammonio da fase vapore o cristallizzazione di solfati di metalli alcalino-terrosi Blocco delle vie di trasporto e diffusione. Mascheramento della superficie attiva Solfatazione Interazione diretta della SO 3 col supporto e con la fase attiva Modifica reversibile della struttura chimica superficiale Sinterizzazione o trasformazione anatasio/rutilo del supporto Prolungata alta temperatura di esercizio o shock termici Diminuzione di area superficiale e perdita delle caratteristiche morfologiche e microsuperficiali Erosione Elevati carichi di particolato nei fumi e cattive distribuzioni di flusso Perdita di materiale catalitico Avvelenamento chimico Blocco dei centri attivi da parte di elementi contaminanti trasferiti dalle ceneri o da fase vapore: K, Na, Ca, Mg, As, Pb, Se, ecc. Avvelenamento dei centri attivi e dei siti di adsorbimento dell’ammoniaca. Arricchimento di vanadio Trasferimento di ossidi di vanadio dalle ceneri di olio combustibile e orimulsion Incremento della conversione SO 2 /SO 3 Attacco chimico Presenza in tracce di agenti aggressivi (HF, HCl, ecc.) nei gas di combustione Diminuzione di resistenza meccanica. Solubilizzazione degli ossidi dei metalli attivi.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.52/71 Nel caso del trattamento DeNOx su gas di combustione “puliti”, come quelli generati da sezioni termoelettriche alimentate a gas, la causa principale del calo di attività del catalizzatore, e della conseguente diminuzione di efficienza DeNOx, è di tipo termico ed il degrado procede attraverso una lenta riduzione dell’area superficiale specifica. I dati di letteratura evidenziano come la velocità del processo sia influenzata non solo dalla temperatura, ma anche dall’ambiente di reazione. In particolare, il processo è favorito dalla presenza di vapore nei gas di combustione (nei gas di combustione di metano la percentuale di vapore è anche maggiore di quella presente nei fumi di carbone o olio e si aggira intorno al 18% vol.). In dettaglio si è osservato che il processo passa attraverso le seguenti fasi: a) perdita di area superficiale per sinterizzazione del supporto; b) destabilizzazione del film catalitico e sinterizzazione delle specie attive (la caduta di selettività si registra molto prima di quella di attività DeNOx, ma ciò diviene importante solo per fumi di combustione contenenti SO 2 ); c) transizione di fase anatasio→rutilo del supporto, con crollo dell’area superficiale, blocco del vanadio nello stato di ossidazione +4 e sua incorporazione nella struttura reticolare del supporto. Altri fenomeni di degrado osservati in prove condotte in condizioni forzate ( per temperatura e concentrazione di vapore) consistono nella parziale asportazione o formazione di gradienti di concentrazione di specie attive (ossido di vanadio) lungo il letto catalitico. In ogni caso, i dati di esercizio reperibili nella più recente letteratura tecnica confermano che nelle condizioni ordinarie di esercizio degli SCR su centrali alimentate a gas (T<400 °C, [H 2 O] v <20% vol.) i fenomeni di degrado citati sono estremamente lenti e la durata del catalizzatore può raggiungere le 100000 h nel caso di fumi di combustione da metano. Nel caso di impianti alimentati ad olio, il degrado termico del catalizzatore potrebbe verificarsi, anche istantaneamente, in seguito a fenomeni di accensione di residui carboniosi depositati sulle superfici dei moduli catalitici (“shock termici”). Questi fenomeni, facilitati dalle caratteristiche ossidanti del sistema catalitico, devono essere considerati come incidenti di esercizio (veri e propri incendi nel reattore). Essi si sono in passato verificati in centrali giapponesi e oggi sono generalmente evitati con l’impiego regolari di sistemi di soffiatura fuliggini e l’utilizzo di by- pass al reattore DeNOx nelle fasi di avviamento. Gli aspetti di degradazione sinora trattati, classificabili nella tipologia dei fenomeni termici, sono ovviamente irreversibili in quanto è impossibile un recupero dell’area superficiale specifica. Nel caso di sezioni termoelettriche alimentate a carbone e ad olio , altri fenomeni di degrado si sommano a quelli di sinterizzazione e provocano un più veloce calo di attività DeNOx. La sostituzione del catalizzatore, in queste condizioni, può però rendersi necessaria anche per ragioni differenti: • aumento della conversione SO 2 →SO 3 ; • aumento dell’ammoniaca non reagita (slip) in uscita dal reattore DeNOx; • aumento delle perdite di carico sul reattore DeNOx. I meccanismi di degrado aggiuntivi dipendono, direttamente o indirettamente, dalla presenza di SO 2 e particolato nei fumi e, a seconda dei casi, vengono classificati nella tipologia dei fenomeni di natura chimica o meccanica. Può trattarsi di:

Rapporto CESI A0/023969 Pag.53/71 • fenomeni meccanici di erosione e di fouling con formazione di incrostazioni o depositi superficiali, intasamento di interi canali di passaggio dei gas, occlusione di pori ad opera di particelle di cenere, deposizione di solfati di ammonio da fase vapore o cristallizzazione di altre specie chimiche nei pori; • fenomeni di disattivazione chimica: avvelenamento da metalli alcalini (Na, K) ed alcalino terrosi (Ca, Mg), arricchimento di V, Ni e Fe, volatilizzazione della fase attiva in seguito all’attacco da parte di agenti aggressivi presenti in tracce nei fumi (HCl, Cl 2 , HF, F 2 ). In particolare l’elevato contenuto di SO 2 nei fumi di combustione può provocare la condensazione dei solfati di ammonio, prodotti di reazione tra SO 3 , NH 3 e vapore. La condensazione è regolata dalla termodinamica ed è favorita da elevate concentrazioni di SO 3 ed NH 3 e bassi valori della temperatura dei fumi alimentati al reattore. Ad esempio, in presenza di 5 ppm di ammoniaca e 10 ppm di anidride solforica la temperatura di condensazione è di circa 240 °C. Tuttavia, a causa del fenomeno della condensazione capillare, i solfati di ammonio possono condensare nei micropori del catalizzatore a temperature sensibilmente più elevate di quelle dedotte dalle curve dei punti di rugiada (figura 32 riportata nel paragrafo 4.3). Pertanto, la disattivazione da solfati di ammonio va evitata mantenendo il catalizzatore a temperatura di circa 40 °C superiore al punto teorico di rugiada corrispondente alle concentrazioni di NH 3 ed SO 3 . Va tenuto presente che la concentrazione di tali specie chimiche varia lungo l’asse del reattore: la concentrazione di ammoniaca è massima all’ingresso del reattore (l’NH 3 reagisce progressivamente con gli NO x sul letto catalitico) mentre quella di SO 3 ha un andamento opposto (alla concentrazione già presente nei fumi in uscita dalla caldaia si somma progressivamente quella prodotta dall’ossidazione dell’SO 2 sul catalizzatore). La maggior parte dei fenomeni di avvelenamento di natura meccanica e chimica sono reversibili: i solfati e bisolfati di ammonio superficiali possono essere eliminati attraverso trattamenti temici a T>400 °C in assenza di SO 2 , mentre le occlusioni dei pori e dei canali dei monoliti possono essere rimosse attraverso opportuni lavaggi o soffiature. Attraverso il lavaggio con opportune soluzioni è anche possibile eliminare l’avvelenamento di natura chimica causato dal trasferimento di metalli sulla superficie dei catalizzatori. 5.3 STATO DELL’ARTE Nel caso specifico dello studio dei fenomeni di avvelenamento e della messa a punto di tecniche per la rigenerazione dei catalizzatori SCR, in CESI esiste una consolidata esperienza dovuta ad una pluriennale attività di ricerca. Per tale motivo si è ritenuto opportuno iniziare la discussione sul grado di conoscenza raggiunto su queste tematiche dedicando un paragrafo al riassunto dettagliato dei risultati a cui ha portato la nostra pregressa sperimentazione in questo campo. In un secondo paragrafo sono state invece riportate le informazioni reperite nella letteratura brevettuale.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.54/71 5.3.1 SINTESI DELLE ESPERIENZE CONDOTTE IN PASSATO Al fine di poter meglio orientare la scelta tra le possibili tecniche di rigenerazione ed individuare le problematiche associate al loro utilizzo ed alla loro applicabilità, nel seguito si riportano le principali conclusioni dei lavori effettuati in passato sulla rigenerazione di catalizzatori modello in forma di polveri e successivamente di catalizzatori commerciali in forma di monoliti (Frauenthal a base di TiO 2 /V 2 O 5 /WO 3 , 3×3 canali high-dust o 5×5 canali low-dust, L=15 cm). Per ogni singola causa di disattivazione investigata sui catalizzatori SCR, verranno illustrate le tecniche di rigenerazione adottate e gli eventuali effetti negativi riscontrati. Interazione con SO 2 ed SO 3 L’esposizione prolungata ad SO 2 dei catalizzatori SCR a base di TiO 2 /V 2 O 5 e TiO 2 /V 2 O 5 /WO 3 provoca la formazione di solfati di titanile e vanadile la cui entità tende a saturare nel tempo. La SO 2 di per sé non è un avvelenante in quanto esplica un notevole effetto promotore sull’attività DeNOx che dipende drasticamente dal grado di coverage del supporto (TiO 2 ) con la fase attiva: i catalizzatori modello con ricoprimento pari a 1/2 monolayer mostrano dopo l’interazione con SO 2 una efficienza di abbattimento degli NO x all’incirca doppia rispetto ai rispettivi vergini, tale effetto promotore si riduce drasticamente all’aumentare del grado di coverage sino a diventare quasi nullo al completamento del monolayer. E’ allora evidente che l’aumento dell’attività catalitica è da correlare esclusivamente alla formazione dei solfati di titanile che, determinando un aumento dell’acidità superficiale del catalizzatore, rendono più efficiente lo stadio di adsorbimento dell’ammoniaca. I monoliti commerciali mostrano un aumento inferiore dell’efficienza DeNOx per interazione con SO 2 , ma ciò è probabilmente dovuto al fatto che nella loro composizione di partenza contengono già dei solfati. In tutti i casi esaminati l’interazione con SO 2 causa un decremento dell’area superficiale specifica dei catalizzatori, tanto più rilevante quanto più elevato è il tempo di esposizione ad SO 2 . E’ comunque possibile ripristinare, totalmente o parzialmente (se nel frattempo è intervenuta anche sinterizzazione), la superficie specifica iniziale mediante calcinazione in aria a 400 °C per 3 h o tramite lisciviazione in acqua a temperatura ambiente. Entrambi questi trattamenti sono infatti abili a determinare la scomparsa dei solfati formatisi per interazione con SO 2 . E’ opportuno evidenziare che nei monoliti, il trattamento termico è capace di rimuovere solo i solfati originatisi per interazione con SO 2 e non quelli già presenti nella composizione di partenza. Si può quindi ipotizzare che i promotori di attività catalitica adoperati commercialmente non corrispondono a solfati di tiatanile e/o vanadile, ma a composti chimici di maggiore stabilità termica. In presenza di NH 3 ed H 2 O è stata riscontrata formazione di solfati di ammonio solo per temperature di almeno 50 °C inferiori rispetto ai punti di rugiada corrispondenti alle concentrazioni residue di ammoniaca ed anidride solforica. La formazione di solfati di ammonio determina un netto calo dell’efficienza di abbattimento degli NO x (mascheramento della superficie attiva ed occlusione dei pori con conseguente diminuzione dell’area superficiale specifica, sottrazione di NH 3 alla reazione DeNOx). Anche in questo caso il fenomeno è reversibile e le condizioni iniziali possono essere ristabilite attraverso trattamento termico (350-400 °C per 2-3 h) o per mezzo di lavaggio in acqua a temperatura ambiente.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.55/71 Avvelenamento da metalli alcalini ed alcalino-terrosi L’attività di ricerca condotta ha permesso di verificare che l’avvelenamento chimico dei catalizzatori SCR (provocato dal progressivo deposito sulla loro superficie di metalli alcalini ed alcalino-terrosi) è reversibile, essendo possibile recuperare a pieno l’attività dei catalizzatori esausti mediante opportune procedure di lavaggio. Lo studio è stato effettuato attraverso differenti fasi sperimentali che hanno essenzialmente riguardato: �¾ la comprensione dei meccanismi responsabili del degrado dei catalizzatori e la determinazione del potere avvelenante dei singoli elementi al variare della loro concentrazione superficiale; �¾ la valutazione di eventuali effetti sinergici operanti quando più avvelenanti sono presenti sulla superficie del catalizzatore; �¾ l’effetto della copresenza nei gas di alimentazione dell’anidride solforosa sia sull’efficienza della reazione SCR sia sull’azione inibitrice dei metalli avvelenanti; �¾ la rigenerazione ad umido dei catalizzatori avvelenati mediante procedure di lavaggio con acqua, soluzioni di acidi organici o di acidi inorganici; �¾ la verifica che i trattamenti di rigenerazione portino alla rimozione selettiva degli agenti avvelenanti lasciando inalterata la concentrazione di fase attiva e, qualora questo non avvenga, la verifica della possibilità di reintegrare l’ammontare di fase attiva asportata attraverso reimpregnazione del supporto. Lo studio è stato inizialmente condotto su catalizzatori (sia modello che di origine commerciale) in forma di polveri ed ha portato alle seguenti conclusioni [38]: �ƒ la disattivazione segue la scala di alcalinità degli agenti avvelenanti (K>Na>Ca) ed è da imputare ad una diminuzione dell’acidità superficiale del catalizzatore che determina una diminuzione dell’adsorbimento di ammoniaca; �ƒ la presenza di anidride solforosa nei gas di reazione determina un aumento dell’acidità attraverso la solfatazione della superficie e quindi, oltre a comportare un effetto promotore sull’attività DeNOx, esplica una notevole azione inibitrice sulle cause di avvelenamento; �ƒ almeno nei casi esaminati, è sempre possibile rigenerare i catalizzatori avvelenati attraverso procedure di lavaggio. Infatti, tutti i trattamenti adoperati consentono un recupero quasi completo dell’attività catalitica. Nel caso il catalizzatore sia stato esercito in presenza di SO 2 , anche il lavaggio con semplice acqua deionizzata risulta molto efficace in quanto la dissoluzione dei solfati formatesi sulla superficie dei catalizzatori porta il pH del mezzo di lavaggio verso valori acidi (pH=2÷3); �ƒ le analisi quantitative XPS eseguite sui catalizzatori rigenerati hanno evidenziato la totale rimozione di Na e K, mentre rivelano la presenza di Ca e Pb solo in tracce. Non è mai stata riscontrata asportazione della fase attiva WO 3 , mentre si è osservata una diminuzione del

Rapporto CESI A0/023969 Pag.56/71 contenuto di V 2 O 5 , tanto più evidente quanto maggiore è la sua concentrazione sul supporto[39]. In questo caso una procedura di reimpregnazione consente il ripristino delle prestazioni iniziali. Il trattamento di lavaggio ha anche l’inconveniente di asportare i solfati superficiali, ma anche in questo caso la loro concentrazione può essere reintegrata mediante esposizione ad SO 2 . Con particolare riferimento alla rigenerazione ad umido, tutti i risultati acquisiti in forma di polveri sono stati poi verificati sui catalizzatori in forma di monoliti. Non essendo disponibili catalizzatori disattivati in condizioni reali di esercizio, si è dovuto ricorrere a tecniche di avvelenamento sintetico. Le prove di rigenerazione eseguite sui campioni di monoliti hanno confermato l’andamento generale ottenuto per i catalizzatori in forma di polveri evidenziando anzi, per alcuni aspetti, risultati superiori alle attese. Infatti, contrariamente a quanto osservato sulle polveri, si è riscontrata una buona stabilità alla lisciviazione della fase attiva V 2 O 5 , che risulta sensibilmente diminuita solo dopo trattamento con acido solforico 0,5 M a 60 °C, mentre rimane invariata dopo lavaggio con acqua o con acido acetico 1 M, sia a temperatura ambiente che a 60 °C, e con H 2 SO 4 0,5 M a temperatura ambiente. Il trattamento con la soluzione di H 2 SO 4 presenta comunque il vantaggio di non rimuovere i solfati superficiali, consentendo così di evitare i lunghi tempi di condizionamento del catalizzatore in presenza di SO 2 , necessari per un completo recupero dell’efficienza DeNOx. A conclusione dell’attività sulla rigenerazione si è anche effettuata la progettazione in forma esecutiva di un impianto per la rigenerazione extra-situ [4] mediante lavaggio, di catalizzatori monolitici con dimensioni variabili sino a quella massima dell’elemento commerciale (15x15x100 cm). Interazione con ceneri da carbone e da olio combustibile Sono state effettuate esposizioni prolungate (1700 h) di campioni di catalizzatori, sia preparati in laboratorio che di tipo commerciale, ad un flusso continuo di miscela simulata di gas di combustione contenente SO 2 (2000 ppm) e H 2 O (5% in vol.) ed alla temperatura di 370 °C [38]. I campioni sono stati esposti sia in forma di polveri pellettizzate, con dimensioni opportune per le misure di efficienza catalitica (100 µm<d<160 µm), e miscelate a ceneri prodotte dalla combustione (pure selezionate in granulometria (d<100 µm) in modo da poter essere successivamente rimosse mediante setacciatura), sia in forma di lastrini di monolito su cui è stato depositato uno strato di ceneri. Nella preparazione delle sopracitate miscele si è tenuto conto del differente contenuto di ceneri nei fumi derivanti dalla combustione di carbone e da quella di olio combustibile, utilizzando percentuali diverse nei due casi. In particolare si sono adoperate miscele al 30% in peso per le ceneri da carbone ed al 10% in peso per quelle da olio. Insieme alle miscele sono stati esposti catalizzatori puri in modo da avere dei campioni di riferimento. La caratterizzazione delle polveri ha avuto come obiettivo principale la determinazione qualitativa e quantitativa degli elementi trasferiti dalle ceneri al catalizzatore attraverso diffusione a stato solido o attraverso la solubilizzazione di sali e la loro successiva precipitazione sulla superficie del catalizzatore. La caratterizzazione dei lastrini di monolito ha invece avuto come scopo la determinazione del volume dei pori per effetto di occlusione da dust e/o per effetto di sinterizzazione termica. Le misure di efficienza catalitica eseguite al fine di determinare il grado di avvelenamento dei diversi campioni esposti, sono state eseguite solamente sui catalizzatori sotto forma di polveri pellettizzate, dopo che le stesse sono state prima separate dalle ceneri mediante setacciatura. I campioni sono stati caratterizzati dopo un tempo di trattamento di 816 e 1700 h.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.57/71 Le principali evidenze sperimentali possono essere così riassunte: �ƒ gli unici elementi che vengono trasferiti dalle ceneri alla superficie dei catalizzatori sono Na, K e V. In particolare si è osservato trasferimento di Na e K nel caso delle ceneri da carbone e di Na e V in quello delle ceneri da olio; �ƒ sul catalizzatore modello (TiO 2 /V 2 O 5 ½ monolayer) si è riscontrata una concentrazione di metalli alcalini di molto superiore rispetto a quella osservata sul monolito (TiO 2 /0.2%- V 2 O 5 /10%-WO 3 ). Fondamentalmente la velocità di trasferimento di tali elementi sul catalizzatore commerciale è circa la metà di quella manifestata dal catalizzatore modello; �ƒ sul catalizzatore commerciale in forma di lastrini la cinetica di trasferimento dei metalli alcalini sembra del tutto nulla. Infatti, sulla loro superficie non è mai stata riscontrata la presenza di Na e/o K. In questo caso però non si realizza un contatto intimo tra le ceneri ed il catalizzatore; �ƒ dopo 1700 h di esposizione ad SO 2 la solfatazione della superficie del catalizzatore commerciale è molto inferiore (circa la metà) di quella del modello. Inoltre, nel caso del monolito essa raggiunge un livello di saturazione dopo le prime 850 h, mentre nel modello prosegue sempre con lo stesso rate; �ƒ il trasferimento del V dalle ceneri da olio al catalizzatore sembra avvenire con lo stesso rate su tutti i campioni esaminati; �ƒ in tutti i campioni trattati per 1700 h si è riscontrata una diminuzione dell’area superficiale specifica attorno al 5 % rispetto al valore iniziale; �ƒ l’efficienza di conversione di NO dei differenti campioni dopo il trattamento con le ceneri, è in accordo con quanto osservato nella fase di caratterizzazione. Infatti, tutti i catalizzatori trattati con ceneri da carbone hanno mostrato un netto calo di attività catalitica conseguente all’avvelenamento da Na e K, mentre tutti quelli trattati con ceneri da olio si sono rivelati più efficienti per l’aumento della concentrazione di vanadio; �ƒ l’attività dei catalizzatori nei confronti della reazione SO 2 →SO 3 , è notevolmente influenzata dalla interazione con le ceneri sia da carbone che da olio combustibile. In entrambi i casi essa risulta aumentata rispetto ai campioni esposti in assenza di ceneri. Non è stato possibile accertare se il minore trasferimento di metalli alcalini sul catalizzatore commerciale ed il suo più basso grado di solfatazione siano da correlare all’inferiore superficie scoperta del TiO 2 o alla presenza del tungsteno che in qualche modo inibisce i sopracitati processi. Non è da escludere che la minore formazione di solfati inibisca il trasferimento dei metalli alcalini. Simulazione dell’avvelenamento da ceneri di orimulsion L’attività svolta ha permesso di verificare gli effetti del deposito di ossido di magnesio, proveniente dalle ceneri di combustione dell’orimulsion, sul funzionamento dei catalizzatori SCR. La sperimentazione, condotta su catalizzatori commerciali (TiO 2 /V 2 O 5 /MoO 3 a piastra e

Rapporto CESI A0/023969 Pag.58/71 TiO 2 /V 2 O 5 /WO 3 honeycomb) e modello (TiO 2 /V 2 O 5 /MoO 3 e TiO 2 /V 2 O 5 /WO 3 mezzo ed un monolayer) avvelenati sinteticamente in laboratorio, ha evidenziato una sensibile inibizione dei catalizzatori contaminati con MgO ed eserciti in assenza di SO 2 nella corrente di alimentazione. La disattivazione è drasticamente ridotta se il catalizzatore avvelenato viene sottoposto a procedura di solfatazione. In questo caso la degenerazione dipende drasticamente dal contenuto di MgO depositato sulla superficie del catalizzatore. I campioni con basso contenuto di avvelenante mostrano, in presenza di SO 2 ed SO 2 + H 2 O nella corrente di alimentazione, attività catalitiche addirittura superiori rispetto a quelle dei corrispondenti vergini misurate nelle stesse condizioni; l’incremento del contenuto di avvelenante causa una diminuzione di efficienza DeNOx che comunque si attesta a valori molto prossimi a quella dei campioni vergini. Anche l’indesiderata reazione SO 2 →SO 3 è influenzata dalla contaminazione con ossido di magnesio. Il grado di avvelenamento in questo caso sembra influenzato, oltre che dal contenuto di avvelenante, anche dal ricoprimento del supporto con la fase attiva. Nei campioni a basso contenuto di MgO (commerciali e modello con ricoprimento di un monolayer) la conversione ad SO 3 risulta sostanzialmente invariata rispetto ai corrispondenti catalizzatori vergini, mentre aumenta significativamente nei campioni commerciali ad alto contenuto di avvelenante. Nei campioni modello con un ricoprimento di ½ monolayer, è stata invece sempre osservata una conversione ad SO 3 inferiore nei catalizzatori avvelenati. Infine, i catalizzatori commerciali a base di WO 3 si sono dimostrati più resistenti all’avvelenamento con MgO rispetto a quelli commerciali a base di MoO 3 , sia nei riguardi della reazione DeNOx che dell’ossidazione SO 2 →SO 3 .

Rapporto CESI A0/023969 Pag.59/71 5.3.2 INFORMAZIONI SULLE PROCEDURE DI RIGENERAZIONE DEI CATALIZZATORI SCR REPERITE NELLA LETTERATURA BREVETTUALE La disattivazione termica comporta una trasformazione completamente irreversibile (sinterizzazione e trasformazione di fase del materiale catalitico) e pertanto nessun trattamento è possibile. Si può solo prevenirla evitando di operare a temperatura troppo elevate (>400 °C) e ricorrendo a catalizzatori caratterizzati da buona stabilità termica. La disattivazione di origine chimica è invece generalmente reversibile e può essere rimossa attraverso procedure di rigenerazione. Nella letteratura scientifica esiste un discreto numero di lavori riguardo alle cause di disattivazione dei catalizzatori SCR ma in essi non vengono mai proposte tecniche di rigenerazione. Relativamente più ricca di metodi idonei alla rigenerazione è la letteratura brevettuale pubblicata negli anni ’80. Nella maggior parte di tali brevetti è riportato che la principale causa di disattivazione dei catalizzatori SCR, operanti in centrali termoelettriche alimentate con combustibili fossili, è il deposito di metalli provenienti dalle ceneri di combustione. La rigenerazione può essere eseguita attraverso il lavaggio dei monoliti con acqua industriale (contenuto di metalli alcalini ed alcalini terrosi <0,5 g/l) o con soluzioni di acidi inorganici e/o organici (tra 0,01 e 5% in peso). Generalmente vengono impiegati come acidi HCl, HNO 3 , CH 3 COOH, HCOOH, H 2 SO 4 . Quest’ultimo, rispetto agli altri, presenta il vantaggio di lasciare inalterata la solfatazione della superficie del catalizzatore (avvenuta durante il suo esercizio in presenza di SO 2 ) e conseguentemente di non causare un calo di attività catalitica (che verrebbe recuperata solo dopo un lungo esercizio in presenza di SO 2 ) dovuto alla mancanza dell’effetto promotore dei solfati. Anche la temperatura del mezzo di lavaggio ha influenza sull’efficacia del metodo di rigenerazione ed è generalmente mantenuta nel range 25-90 °C. Alte temperature facilitano l’estrazione dei contaminanti ma rimuovono anche parte della fase attiva. In questo caso, per ripristinare il contenuto di fase attiva, si rendono necessarie procedure di reimpregnazione. La direzione di flusso dell’acqua deve essere parallela a quella dei canali e sia la durata del trattamento (tra 5 e 120 minuti) sia la portata del liquido di lavaggio (tra 200 e 800 l/min per m 2 di sezione di passaggio del gas) devono essere variate dipendentemente dallo stato di degrado del catalizzatore. In alcuni brevetti, preventivamente al lavaggio, viene eseguita una asportazione grossolana delle ceneri di combustione attraverso soffiatura con aria compressa o aspirazione pneumatica. In altri si propone di immergere il catalizzatore esausto, contaminato dal particolato di combustione, dapprima in un liquido organico, che non discioglie i depositi superficiali ma che penetra nei pori del catalizzatore. Solo successivamente si procede al lavaggio con soluzioni acide per disciogliere i depositi superficiali e quindi alla essiccazione. Il trattamento preliminare con solvente organico (ad es. alcool), riempendo completamente i pori del catalizzatore, impedisce alla soluzione acida di lavaggio di penetrare in essi trascinando con sé eventuali avvelenanti che poi precipiterebbero al loro interno durante la procedura di essiccazione. Recentemente i ricercatori tedeschi della EnBW hanno dichiarato espressamente di aver rigenerato con successo un intero strato di letto catalitico avvelenatosi durante l’esercizio. A tale scopo hanno adottato come soluzione tecnica una particolare procedura di lavaggio che consente la rimozione dell’intasamento superficiale e simultaneamente diffonde all’interno del materiale catalitico sciogliendo gli avvelenanti dei centri attivi per poi trasportarli alla superficie.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.60/71 In pratica, in luogo di compiere il lavaggio semplicemente con acqua, viene impiegata una sospensione con polveri di natura non precisata che, al potere dilavante dell’H 2 O, somma la funzione abrasiva del particolato. Il metodo è stato adoperato con successo per rigenerare un intero strato di letto catalitico (2×137,5 m 3 ), installato in un reattore DeNOx operante nella Centrale da 700 MWe di Heilbronn, in cui era stato raggiunto un elevato valore dello slip di ammoniaca. La rigenerazione dei letti catalitici, compiuta in cinque giorni, sembra abbia permesso un risparmio di 7 milioni di marchi tedeschi.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.61/71 5.4 PROGRAMMA SPERIMENTALE E MATERIALI CATALITICI DI PROVA Le azioni che verranno condotte nell’ambito di questa attività saranno orientate essenzialmente allo studio dell’avvelenamento e della rigenerazione di catalizzatori monolitici di tipo honeycomb o a piastra eserciti in centrali termoelettriche alimentate a carbone o ad olio combustibile o eventualmente in inceneritori di rifiuti solidi urbani. In questo paragrafo saranno individuati i materiali catalitici su cui effettuare le prove di rigenerazione, mentre il paragrafo successivo sarà dedicato alle tecniche di rigenerazione che verranno sperimentate. Attualmente non sono ancora disponibili catalizzatori avvelenati in condizioni reali di esercizio. La simulazione con tecniche di laboratorio dell’avvelenamento dei catalizzatori attraverso il deposito sulla loro superficie di metalli tipicamente contenuti nelle ceneri da carbone e/o olio combustibile risulta una alternativa possibile in quanto è già stata ampiamente impiegata in passato negli studi effettuati per il committente Enel. Per un programma sperimentale le fasi di studio proposte sono le seguenti: 1) studiare l’avvelenamento e la rigenerazione di catalizzatori SCR contaminati con metalli differenti da quelli alcalini ed alcalino-terrosi (ad es. arsenico) o di contaminanti derivanti dalla combustione di rifiuti solidi urbani; 2) studiare il degrado e la rigenerazione dei catalizzatori per effetto combinato della sinterizzazione del supporto (diminuzione per effetto termico dell’area superficiale specifica) e del deposito di elementi contenuti nelle ceneri da combustione, sia rispetto la reazione di denitrificazione che rispetto la reazione SO 2 -SO 3 . Nel primo caso, una volta individuate le più probabili cause di degrado dovute ad agenti chimici, l’avvelenamento verrebbe simulato in laboratorio attraverso il deposito con tecniche ad umido dei metalli sulla superficie dei monoliti. Verranno preparati catalizzatori a differente grado di avvelenamento per ciascuno dei metalli individuati come avvelenanti. I catalizzatori così preparati saranno caratterizzati mediante analisi B.E.T. (area superficiale specifica, dimensione e distribuzione dei micropori), Porosimetria a mercurio (dimensione e distribuzione dei macropori) XRD (individuazione delle fasi cristalline presenti, dimensione dei cristalliti), XPS (analisi quantitativa superficiale degli inquinanti e speciazione degli elementi presenti in superficie relativamente alla natura dei legami chimici), FT-IR e DRFT-IR (dispersione delle specie chimiche sul supporto, individuazione della natura dei siti acidi ed eventuale loro disattivazione da parte degli inquinanti), TEM e SEM associati ad EDS (studio delle proprietà morfologiche, analisi qualitativa delle specie chimiche presenti nel bulk del catalizzatore), ICP (analisi quantitativa degli elementi chimici di bulk). Lo stato di degrado dei catalizzatori verrà valutato mediante misure di attività catalitica eseguite sui catalizzatori avvelenati e, per confronto, sui rispettivi catalizzatori vergini. Sono previsti tests sia di efficienza catalitica DeNOx che di ossidazione SO 2 -SO 3 . Sui catalizzatori verranno testate procedure di rigenerazione ad umido la cui efficacia sarà valutata mediante test di efficienza catalitica. Per ciascuna delle procedure di rigenerazione individuate sono previste misure DeNOx (per ciascun tipo di contaminante si valuterà solo la rigenerazione del catalizzatore col massimo grado di avvelenamento) e tests di ossidazione SO 2 –

Rapporto CESI A0/023969 Pag.62/71 SO 3 (sugli stessi catalizzatori). I catalizzatori rigenerati saranno esaminati con le stesse tecniche di caratterizzazione descritte sopra. Anche se il carbone ad alto contenuto di As non è un combustibile adoperato in Italia, lo studio è giustificato con la possibilità dell’approvvigionamento da parte del sistema elettrico con carbone a più basso costo. Per quanto riguarda lo studio effettuato sui contaminanti provenienti dalla combustione di rifiuti solidi urbani, lo studio è propedeutico alla possibilità, prospettata di recente, dell’impiego di tali rifiuti come co-combustibile nelle centrali termoelettriche. Inoltre, essendo la ricerca di supporto anche a specifiche esigenze di altri utenti, un tale studio potrebbe aprire opportunità di inserimento nel mercato esterno dei servizi. La seconda proposta di ricerca (2) prende spunto da prove preliminari effettuate negli anni passati. Tali prove hanno evidenziato che sia la diminuzione di area superficiale specifica che l’avvelenamento chimico da parte di metalli alcalini ed alcalini-terrosi, se agiscono separatamente, causano un raddoppio della velocità della reazione SO 2 -SO 3 . L’effetto risulta molto più drastico se le due cause di degrado operano simultaneamente (aumento della % di SO 3 di circa un fattore 10) denotando un meccanismo sinergico. Al contrario, in presenza di SO 2 nella corrente di alimentazione, a causa dell’azione inibitrice esercitata dalla formazione di solfati sugli elementi avvelenanti, la disattivazione comporta una riduzione del potere DeNOx molto meno accentuata, che risulta di circa il 10% per i catalizzatori avvelenati chimicamente e addirittura assente per quelli su cui è stata provocata solamente la diminuzione di area superficiale. Ne consegue che, ai fini della determinazione del grado di avvelenamento dei catalizzatori SCR, è molto più significativo seguire l’andamento della percentuale di SO 3 prodotta con il tempo di esercizio, piuttosto che la variazione dell’efficienza di conversione degli NOx. Inoltre, la rigenerabilità dei catalizzatori potrebbe essere influenzata dal sinergismo dei due meccanismi ed in letteratura sono completamente assenti studi relativi all’effetto concomitante delle due cause di avvelenamento. Il programma sperimentale può essere così schematizzato: a. Influenza della diminuzione di area superficiale specifica sul degrado dei catalizzatori Per ogni tipo di monolito preso in esame, verrà determinata l’attività catalitica del catalizzatore vergine nei confronti della reazione DeNOx e della reazione SO 2 -SO 3 . In una fase successiva verrà determinata una diminuzione controllata di area superficiale specifica mediante trattamenti termici per tempi prolungati. Confrontando le efficienze di conversione di NO e di ossidazione di SO 2 di tali campioni con quelle dei campioni vergini, saranno ottenute indicazioni sul grado di deterioramento dei catalizzatori e sul valore limite di area superficiale specifica oltre il quale il catalizzatore deve considerarsi esausto. b. Influenza dell’avvelenamento di natura chimica In questa fase verranno preparati, per ogni tipo di monolito preso in esame, campioni con differente contenuto di metalli, il cui trasferimento dalle ceneri da combustione alla superficie del catalizzatore è ritenuto maggiormente probabile (ad es. As). L’avvelenamento con i vari elementi metallici verrà effettuato in laboratorio mediante metodi di impregnazione ad umido con opportune soluzioni. Attraverso misure di efficienza DeNOx e di conversione SO 2 -SO 3 verrà determinato il grado di avvelenamento dei vari campioni e la concentrazione minima di metalli che rende il catalizzatore esausto.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.63/71 c. Studio dell’effetto combinato della diminuzione di area superficiale specifica e dell’avvelenamento chimico sulla disattivazione dei catalizzatori SCR I campioni di monoliti a differente valore di area superficiale specifica verranno avvelenati, sempre in laboratorio, depositando sulla loro superficie elementi metallici con concentrazioni pari a quelle adoperate nel punto b. Misure di efficienza di conversione di NO e di ossidazione SO 2 -SO 3 saranno eseguite al fine di stabilire il grado di avvelenamento complessivo dei vari campioni e di verificare il sinergismo tra i due meccanismi di degrado. d. Rigenerazione dei catalizzatori Sui catalizzatori di cui al punto c saranno sperimentate diverse procedure di rigenerazione extra-situ mediante lavaggio con opportune soluzioni per eliminare l’avvelenamento chimico (il degrado dovuto a sinterizzazione è irreversibile). Al fine di verificare sino a che livello è possibile recuperare il grado di efficienza iniziale, saranno eseguiti test di attività catalitica sui catalizzatori rigenerati. L’analisi dei risultati ottenuti permetterà di determinare il massimo grado di sinterizzazione (e quindi la minima area superficiale specifica) che il catalizzatore può raggiungere prima di essere sottoposto a procedure di rigenerazione. e. Caratterizzazione dei catalizzatori I vari campioni saranno sistematicamente caratterizzati, dopo ciascuno dei trattamenti subiti, sia con tecniche di superficie (XPS, Auger) che con tecniche convenzionali (BET, Porosimetria ad intrusione di mercurio, XRD, FTIR, ICP). In tal modo saranno individuate sia le variazioni della composizione chimica che le variazioni strutturali e morfologiche subite dai catalizzatori. La correlazione di tali variazioni con il grado di deterioramento dei campioni permetterà di identificare le cause di avvelenamento e di ipotizzarne i meccanismi coinvolti. La sperimentazione effettuata in questa fase permetterà anche di dare un maggiore significato ai test di attività catalitica effettuati sui campioni di monoliti prelevati periodicamente dai reattori DeNOx in esercizio per monitorare lo stato di degrado. L’effetto sinergico tra la disattivazione termica e quella chimica è infatti maggiormente esplicato sulla ossidazione della SO 2 che sulla attività DeNOx. Ne consegue che, ai fini della determinazione del grado di avvelenamento dei catalizzatori SCR, potrebbe essere molto più significativo seguire l’andamento della percentuale di SO 3 prodotta con il tempo di esercizio, piuttosto che la variazione dell’efficienza di conversione degli NO x .

Rapporto CESI A0/023969 Pag.64/71 5.5 INDIVIDUAZIONE E VALIDAZIONE DI TECNICHE DI RIGENERAZIONE Come abbiamo già detto, la rigenerazione dei catalizzatori SCR permetterebbe una significativa riduzione dei costi sia in termini di mancato acquisto di nuovi materiali che di risparmiate spese di smaltimento (diminuzione delle spese di gestione pari a 3,7 Ml/anno per MWe). L’obiettivo di questa fase dell’attività sarà quello di individuare e validare, con prove di laboratorio, specifiche metodologie di rigenerazione caratterizzate da costi di applicazione vantaggiosi e di facile implementazione in centrale. Lo studio delle procedure di rigenerazione sarà essenzialmente basato, anche in virtù delle argomentazioni riportate nel presente rapporto, su opportuni lavaggi a cui sottoporre i materiali catalitici. In virtù della citata esperienza di Heilbronn e di prove preliminari eseguite in CESI su catalizzatori eserciti, oltre alle tecniche di lavaggio, saranno indagate tecniche di idropulitura, sabbiatura ed idrosabbiatura. La sperimentazione inizialmente verrà effettuata operando solo con acqua deionizzata ma successivamente verrà testato anche l’utilizzo di soluzioni acide diluite di acidi inorganici e/o organici. Infatti, la nostra esperienza, confortata anche dai risultati ottenuti da altri ricercatori, dimostra che l’efficacia della rigenerazione viene incrementata da valori di pH acidi (2÷3). Nella maggioranza dei casi, anche se si utilizza semplice acqua deionizzata, tali valori di pH possono essere raggiunti sfruttando la dissoluzione dei solfati accumulatosi sul catalizzatore durante l’esercizio con SO 2 (si veda anche esperienza di Heilbronn). Al contrario, nel caso in cui sia presente un elevato contenuto di ceneri sui catalizzatori, la lisciviazione del particolato che si deposita sui catalizzatori impartisce alla soluzione di lavaggio un netto carattere basico. In tal caso l’efficacia del processo di rigenerazione potrebbe risultare attenuata e l’utilizzo di acidi potrebbe allora rendersi indispensabile. Comunque, le esigue quantità di acido che devono essere adoperate non dovrebbero né influire pesantemente sull’economicità del processo né causare fenomeni di corrosione del reattore DeNOx qualora la rigenerazione sia effettuata in-situ. Inizialmente campioni dei catalizzatori avvelenati saranno sottoposti a procedure di lavaggio in flusso in un apparato da laboratorio progettato ad hoc per alloggiare provini di dimensioni pari a quelle adoperate per le misure di attività catalitica. Lo scopo sarà essenzialmente quello di confrontare diversi liquidi di lavaggio (acqua deionizzata e acidi diluiti) e di investigare l’influenza dei parametri di processo più importanti quali temperatura e velocità di flusso del liquido di lavaggio. L’efficacia delle procedure di rigenerazione verrà valutata con misure catalitiche (DeNOx e conversione SO 2 →SO 3 ) e con analisi di caratterizzazione superficiale e morfologica. Sulla base dei risultati ottenuti in questa fase verrà valutata l’effettiva necessità di ricorrere alle tecniche di rigenerazione più sofisticate illustrate in seguito e/o fornirà indicazioni utili per la loro messa a punto. a) Rigenerazione mediante tecniche di idropulitura Utilizzando i catalizzatori avvelenati secondo le procedure riportate nel paragrafo 5.4 verranno condotte prove di idropulitura. Verranno ottimizzati i parametri di prova quali forma e dimensione dell’ugello, pressione di uscita del getto d’acqua, temperatura e velocità del flusso. L’efficacia del processo verrà valutata con misure catalitiche (DeNOx e conversione SO 2 →SO 3 ) e con analisi di caratterizzazione superficiale e morfologica. Verrà analizzato il possibile utilizzo di additivi chimici (acidi inorganici e/o organici) con l’obiettivo di migliorare l’efficacia del processo in termini di abbreviamento dei tempi di trattamento e riduzione dei volumi di soluzione necessari per la rigenerazione.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.65/71 b) Rigenerazione mediante tecniche di sabbiatura Sempre sui catalizzatori avvelenati secondo le procedure del paragrafo 5.4 verranno condotte prove di sabbiatura utilizzando differenti polveri abrasive (carbonato di calcio, allumina, carburo di silicio e nitruro di silicio) con diverse concentrazioni. Verranno ottimizzati i parametri di prova quali forma e dimensione dell’ugello, pressione di uscita del getto d’aria e velocità del flusso. Particolare attenzione verrà rivolta verso l’ottimizzazione della forma dell’ugello e della sua distanza dall’imbocco dei canali del catalizzatore a nido d’ape al fine di distribuire uniformemente l’azione del getto lungo tutta la superficie del monolito. L’efficacia del processo verrà valutata con misure catalitiche (DeNOx e conversione SO 2 →SO 3 ) e con analisi di caratterizzazione superficiale e morfologica. c) Rigenerazione mediante tecniche di idrosabbiatura Verranno condotte le stesse azioni illustrate nel punto a) ma adoperando, al posto di semplice acqua deionizzata, sospensioni di polveri abrasive in acqua deionizzata. Saranno eventualmente testati differenti tipi di polvere (carbonato di calcio, allumina, carburo di silicio, nitruro di silicio) con diverse concentrazioni. L’eventuale utilizzo di additivi chimici (acidi inorganici e/o organici) verrà valutato caso per caso compatibilmente con la natura delle polveri adoperate. La sperimentazione condotta in questa fase servirà anche a verificare l’effettiva efficacia della procedura applicata ad Heilbronn. A scopo riassuntivo, nel seguente diagramma di flusso, vengono illustrati i materiali di prova, la cronologia delle azioni ed il tipo di procedura adoperata: Monoliti Vergini Degrado per sinterizzazione Avvelenamento chimico in laboratorio Caratterizzazione Porosimetria BET, TEM Tests attività DeNOx e SO 2 -SO 3 Caratterizzazione XRD,BET,FT-IR, TEM,EDS, Porosimetria Caratterizzazione XRD,BET,FT-IR, TEM,EDS, Porosimetria Avvelenamento chimico in laboratorio Tests attività DeNOx e SO 2 -SO 3 Rigenerazione mediante Lavaggio pH= neutro o acido Idropulitura pH= neutro o acido Sabbiatura Idrosabbiatura Tests attività DeNOx e SO 2 -SO 3 Caratterizzazione XRD,BET, FT- IR,TEM, EDS, Porosimetria Tests attività DeNOx e SO 2 -SO 3 Confronto attività

Rapporto CESI A0/023969 Pag.66/71 6 SISTEMI SPERIMENTALI PER I TESTS DI ATTIVITA’ CATALITICA E DESCRIZIONE DELLE MODIFICHE APPORTATE PER PERMETTERE LA DETERMINAZIONE DELLA LORO SELETTIVITA’ AD N 2 Presso i laboratori CESI dedicati alle attività sulla catalisi, è operativo un sistema per test di attività catalitica su catalizzatori SCR sotto forma di polveri. La figura 32 raffigura lo schema dell’impianto e le facilities di cui è dotato. Le caratteristiche e le funzioni dei suoi vari componenti sono di seguito descritte. Il reattore è costituito da un tubo in vetro pyrex (d.i.= 1cm), all’interno del quale è posto un setto poroso in quarzo come sostegno del letto catalitico. Due strati di materiale inerte (allumina esente da porosità e fibra ceramica) delimitano il letto catalitico in modo che la polvere di catalizzatore non venga trascinata dallo stream dei gas reagenti. Il reattore è posto in un forno cilindrico verticale a resistenza e la temperatura al suo interno è controllata da una termocoppia posta in corrispondenza del letto catalitico. Le portate dei gas reagenti, costituite da una miscela all’1 % in volume di NH 3 /N 2 ,NO/N 2 ,SO 2 /N 2 e da N 2 e O 2 puri, sono regolati mediante flussometri di massa e sono ulteriormente verificate tramite un flussometro a bolle di sapone. Attraverso una valvola a tre vie si ha la possibilità di inviare l’N 2 e l’O 2 ad un contenitore metallico dove vengono miscelati con NH 3 ed NO oppure in alternativa di farli fluire in un evaporatore a gorgogliamento riempito con H 2 O opportunamente termostatato. In questo ultimo caso l’azoto e l’ossigeno saturi di vapore d’acqua vengono alimentati e miscelati con NO ed NH 3 direttamente all’ingresso del reattore attraverso tubi di teflon mantenuti ad una temperatura di 80°C in modo da evitare la condensazione di H 2 O. L’anidride solforosa è invece sempre introdotta in prossimità dell’entrata del reattore catalitico allo scopo di impedire la formazione di solfato e/o bisolfito di ammonio a monte di quest’ultimo. L’analisi quantitativa delle miscele di reazione viene effettuata sia in entrata che in uscita del reattore catalitico, mediante due analizzatori NDIR (modello Siemens ULTRAMAT 5E) per NO e NH 3 . La determinazione della conversione SO 2 -SO 3 viene valutata in assenza della reazione DeNOx adoperando il metodo della condensazione selettiva dell’anidride solforica come H 2 SO 4 . A tal fine, nell’impianto precedentemente descritto, immediatamente dopo l’uscita del reattore catalitico, viene collocato un serpentino costituito da 15 spire in vetro pyrex del d.i. di 6 mm con diametro di spira di 30 mm. All’estremità inferiore, il serpentino termina con un setto poroso in quarzo (con diametro dei pori uguale a 11/15 di micron ) in modo da evitare l’eventuale trascinamento di nebbie di acido solforico da parte del flusso di gas. Il serpentino è inoltre dotato di una camicia esterna nella quale è fatta circolare dell’acqua mantenuta a 70-80°C mediante un bagno termostatato a circolazione esterna. In tal modo è consentita la condensazione del solo H 2 SO 4 (e non del vapore d’acqua) che viene successivamente determinato mediante titolazione. Sono anche operativi due sistemi per la determinazione dell’attività DeNOx ed SO 2 -SO 3 su catalizzatori in forma di monoliti. Tali sistemi sono stati progettati per effettuare misure DeNOx su monoliti di lunghezza tra 100 e 250 mm e di sezione 3×3 fori nel caso di catalizzatori High Dust e 5×5 fori nel caso di catalizzatori Low Dust o Tail End. La portata massima prevista in ingresso è di 5 Nm 3 /h per concentrazioni di NO ed NH 3 di 700 ppm, per cui è possibile realizzare un ampio range (tra 15 e 100 Nm/h) di velocità spaziale (AV=Q(l/h)/superficie geometrica del monolito(m 2 )). Tuttavia, le condizioni ottimali di prova prevedono l’utilizzo di monoliti della lunghezza di 150 mm con una AV di 33Nm/h. Lo schema di principio dell’impianto è riportato in figura 33. La sezione di alimentazione e di analisi funzionano sullo stesso principio di quelle descritte precedentemente per

Rapporto CESI A0/023969 Pag.67/71 l’apparato di misura su polveri. La sezione di reazione è invece costituita da un reattore tubolare di dimensioni opportune per l’alloggiamento dei monoliti di prova che vengono riscaldati, sino alla temperatura di reazione, mediante un forno a ventilazione forzata. Tali impianti sono stati implementati in modo da essere in grado di determinare l’efficienza di abbattimento dell’ammoniaca mediante processo SCO. Le modifiche hanno riguardato essenzialmente la sezione di analisi che è stata predisposta per essere equipaggiata con un gas cromatografo (di prossima acquisizione) in grado di eseguire analisi on-line sui gas di scarico. Infatti, al fine di poter determinare la selettività ad N 2 dei catalizzatori oggetto di studio, è necessario eseguire un’analisi quantitativa per via gas cromatografica di N 2 , N 2 O ed eventualmente NO 2 . La fase iniziale dell’attività sarà appunto dedicata alla messa a punto dell’analisi quantitativa gas-cromatografica delle specie di interesse che permetterà di definire l’efficienza di conversione dell’ammoniaca e la selettività ad azoto del processo SCO. Dovendo determinare quantitativamente N 2 come prodotto di reazione, nell’effettuazione dei tests di attività catalitica su catalizzatori per la SCO di NH 3 , non è possibile impiegare N 2 come gas diluente. Si è quindi provveduto all’allestimento di una gas-line per Ar da utilizzare come gas diluente in luogo di N 2 . Ovviamente, anche le miscele all’1% di NO ed NH 3 , impiegate per l’alimentazione del reattore SCR, saranno diluite in Ar.

Rapporto CESI A0/023969 Pag.68/71 Fig. 32- Schema dell’impianto da laboratorio utilizzato per i test di efficienza catalitica in presenza di SO 2 ed H 2 O

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Rapporto CESI A0/023969 Pag.70/71 Fig. 33 -Schema di principio dell’impianto per i test di efficienza catalitica su monoliti

Rapporto CESI A0/023969 Pag.71/71 7 CONCLUSIONI Nel presente rapporto è stata effettuata una analisi dettagliata delle possibili metodologie innovative che consentirebbero un miglioramento dell’attuale processo SCR sia in termini di compatibilità ambientale che di economicità globale del processo. In particolare sono stati discusse criticamente: − l’integrabilità, nei reattori NH 3 -SCR già in funzione, di sistemi catalitici per l’abbattimento dell’ammonia-slip mediante ossidazione catalitica selettiva; − lo sviluppo di materiali catalitici innovativi operanti a bassa temperatura in modo da poter utilizzare i reattori NH 3 -SCR nella configurazione “tail-end” (dopo i preciptatori elettrostatici ed il desolforatore e prima del camino); − la messa a punto di procedure efficaci nella rigenerazione di catalizzatori SCR avvelenatisi per l’esercizio nei reattori DeNOx. Per ciascun argomento sopra citato è stata effettuata: − una rassegna bibliografica mirata alla stima della efficienza di tali processi ed alla acquisizione di informazioni circa gli ultimi sviluppi che essi hanno avuto sia a livello di ricerca di base che di applicabilità industriale; − una valutazione critica della necessità di promuovere azione di ricerca e sviluppo in tali ambiti e dei vantaggi che l’applicazione di tali tecnologie apporterebbe sia all’ecosistema che al sistema elettrico italiano e, più in generale, ad altri settori dell’industria; − la stesura di un programma di ricerca su base triennale mirata alla comprensione degli aspetti ancora scarsamente interpretati e alla risoluzione delle problematiche lasciate ancora aperte dalla letteratura scientifica. Le maggiori conclusioni a cui le attività svolte hanno portato sono le seguenti: − la tecnologia SCO per l’abbattimento dello slip di ammoniaca è ancora lontana dal raggiungimento dei livelli di industrializzazione ed esistono notevoli margini per il suo miglioramento. Anche se, a testimonianza del notevole interesse sull’argomento, esiste un discreto numero di pubblicazioni in merito, restano ancora da individuare i sistemi catalitici su cui puntare e soprattutto non sono state ancora completamente chiariti gli effetti di alcuni componenti presenti nei fumi di combustione (SO 2 e H 2 O) e della relativamente bassa concentrazione di NH 3 sulle loro prestazioni. Si è quindi proposto un dettagliato programma di ricerca triennale che si pone l’obiettivo di sviluppare materiali catalitici con migliori e verificate caratteristiche funzionali. Inizialmente verranno provati catalizzatori preparati per via sintetica in laboratorio, mentre in una seconda fase verrà anche verificata la possibilità di modificare la composizione chimica dei catalizzatori attualmente commercializzati per il processo SCR convenzionale ai fini di un loro utilizzo nella SCO dell’ammoniaca. − la tecnologia SCR a bassa temperatura ha già raggiunto un certo livello di sviluppo industriale, essendo già disponibili sul mercato catalizzatori della Engelhard e della Shell. Particolarmente interessante è risultato il sistema Shell la cui applicabilità a bassa temperatura è dovuta alla associazione di un catalizzatore innovativo con un reattore a flusso laterale. Non risulta però chiaro se il sistema Shell può essere inserito in linea in una centrale termoelettrica, se le sue caratteristiche di selettività ad N 2 sono adeguate e se può effettivamente operare a T<150 °C. Lo sviluppo di catalizzatori con migliori prestazioni in termini di efficienza di conversione e di

Rapporto CESI A0/023969 Pag.72/71 selettività ad N 2 e che possono effettivamente operare a T<150 °C sarebbe comunque auspicabile. Nel programma di ricerca su base triennale si propone lo studio di catalizzatori Mn- TiO 2 e Mn-W-TiO 2 , messi a punto dall’università di Genova, che appaiono promettenti in tal senso. La verifica della loro applicabilità in un reattore a flusso laterale ed il confronto con il sistema Shell è anche previsto. In una seconda fase verrà anche verificata la possibilità di modificare la composizione chimica dei catalizzatori attualmente commercializzati per il processo SCR convenzionale ai fini di un loro utilizzo a bassa temperatura. − La rigenerazione dei catalizzatori SCR esausti è un obiettivo perseguito con estremo interesse dalle industrie produttrici dei monoliti. A testimonianza di ciò è il gran numero di brevetti depositati a livello internazionale su tale argomento. La maggioranza dei brevetti individuati risale agli anni ’80 ed è, come prevedibile, di origine giapponese. La mancanza di lavori negli ultimi 15 anni potrebbe, a nostro avviso, essere indicativa del fatto che i problemi relativi alla rigenerazione siano stati in gran parte risolti. A sostegno di tale ipotesi è anche un articolo apparso di recente su Power Gen 1999 dove si riferisce di un intervento di rigenerazione andato a buon fine: la rigenerazione dei catalizzatori esausti, in esercizio nella centrale termoelettrica a carbone da 700 MWe di Heilbron, ha consentito un risparmio di 7 milioni di marchi tedeschi. Considerato che la divulgazione di metodologie di rigenerazione non è ovviamente nell’interesse delle industrie produttrici dei catalizzatori, la loro individuazione e qualifica è pertanto un obiettivo che deve essere perseguito con estremo interesse soprattutto dagli utilizzatori. E’ stato quindi definito un programma sperimentale per la rigenerazione di catalizzatori avvelenati per l’esercizio con olio combustibile o carbone. La rigenerazione verrà eseguita mettendo a confronto le seguenti tecniche: lavaggio, idropulitura, sabbiatura e idrosabbiatura. L’analisi della letteratura brevettuale ha permesso di verificare che il know-how acquisito in CESI durante le pregresse attività sperimentali è in linea rispetto alle procedure di rigenerazione dei catalizzatori SCR ritenute perseguibili e quindi può essere sfruttato con profitto nel perseguimento degli obiettivi prefissati. Il raggiungimento degli obiettivi nelle azioni sopra discusse apporterebbe notevoli vantaggi economici al sistema elettrico nazionale ravvisabili in significative riduzioni dei costi di gestione e/o di investimento del processo SCR. Le meno frequenti entrate in fuori servizio delle centrali dovute ad incrostazioni e/o corrosione (formazione di solfati di ammonio nelle apparecchiature a valle dei reattori DeNOx), la più facile installazione ed il minor costo del processo SCR a bassa temperatura, il prolungamento della vita di esercizio dei catalizzatori e le riduzione dei costi per lo smaltimento degli stessi, aumenterebbero notevolmente la competitività del sistema elettrico nazionale attraverso la riduzione del kWh. Non da ultimo, la riduzione delle emissioni di composti nocivi migliorerebbe la compatibilità ambientale delle centrali termoelettriche facilitandone l’inserimento nell’ecosistema.

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