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Impianti predisposti per la cattura della CO2 (capture-ready): indicazioni degli aspetti da considerarsi nella progettazione

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Impianti predisposti per la cattura della CO2 (capture-ready): indicazioni degli aspetti da considerarsi nella progettazione

Recently updated on Aprile 7th, 2021 at 01:41 pm

Cominciare oggi a realizzare impianti di generazione predisposti per accogliere e integrare nel medio termine sistemi di cattura della CO2 contribuirebbe a massimizzare nel futuro la quota sequestrabile di CO2 prodotta dal parco nazionale di generazione. E’ questo, al di la della traduzione letterale, il vero significato del termine “capture ready” applicato alle Centrali elettriche. Anche in assenza di una definizione ufficiale (o condivisa) a livello internazionale del reale significato della “capture readiness”, e senza menzionarla con tale termine, essa è di fatto già stata prevista e resa obbligatoria da una Direttiva comunitaria relativa allo stoccaggio della CO2. Questa Direttiva, già recepita anche dall’Italia, impone che nella documentazione necessaria per l’ottenimento delle autorizzazioni alla costruzione ed esercizio di ogni futuro impianto di generazione di energia elettrica mediante combustione, di potenza superiore a 300 MWe, siano comprese anche valutazioni relative alla possibilità tecnica ed economica di installare a posteriori le strutture per la cattura della CO2, alla fattibilità tecnica ed economica delle strutture di trasporto della stessa, nonché la disponibilità di idonei siti per il suo stoccaggio. Per questa ragione, nell’attività di Ricerca di Sistema (RdS) del 2010 ci si è proposti di analizzare la tematica e di identificare configurazioni impiantistiche di Centrali idonee per l’implementazione, in tempi successivi, di sistemi di cattura della CO2 in grado di realizzare la cosiddetta CCS. Per i casi selezionati, conoscendo i requisiti e le peculiarità delle tecnologie di cattura attualmente disponibili e più promettenti, possono essere identificati gli aspetti principali da considerare nel momento della progettazione di massima di un nuovo impianto in termini di utenze, disposizione dei componenti e predisposizione delle aree. L’attività svolta è consistita essenzialmente in un’indagine bibliografica relativa sia agli aspetti normativi e legislativi, sia a quelli più specificamente tecnici ed economici. Tra i primi spiccano in particolare le Direttive dell’Unione europea associate ai relativi decreti e leggi di recepimento; tra gli altri le conclusioni dei numerosi studi svolti da organizzazioni internazionali o sovranazionali. E’ seguita quindi un’analisi dei dati e delle informazioni raccolte con un tentativo di sintesi finalizzato all’identificazione sia degli aspetti più significativi della tematica, sia di quelli per i quali sono già state raggiunte conclusioni univoche oppure consenso di interpretazione. Il termine “capture ready”, forse solo riduttivamente traducibile in italiano come “predisposto per la cattura” è ormai di uso comune, anche se una sua definizione ufficiale non è ancora stata fornita. Nell’attesa, alcune organizzazioni internazionali hanno però già provato a formulare una bozza di tale definizione. IEA – Greenhouse Gas R&D Programme ha suggerito ad esempio la seguente definizione, forse volutamente un po’ generica: “Un impianto predisposto per la cattura della CO2 è un impianto nel quale sarà possibile introdurre la cattura della CO2 quando (o qualora) saranno operative le necessarie regolamentazioni e/o meccanismi economici, scongiurando in tal modo il rischio di (future) perdite (economiche) irrecuperabili”. Un’altra definizione che è stata proposta è la seguente: “Un impianto può essere considerato “capture-ready” se in un qualche momento del futuro esso può essere oggetto di un adattamento che lo renda idoneo alla cattura e al sequestro della CO2 continuando a essere economicamente sostenibile. Il concetto di “capture ready” non corrisponde con uno specifico tipo di progetto di impianto ma consiste in un ventaglio di decisioni progettuali e di investimento che l’investitore deve prendere in fase di progetto e costruzione dell’impianto stesso”. Un aspetto comune, che traspare immediatamente da tutte le definizioni proposte, indipendentemente dalla loro maggiore o minore condivisibilità e correttezza concettuale e formale, è la mancanza di quantificazioni sia economiche sia tecniche nelle relative affermazioni.

I gestori di impianti, come pure i politici, sono molto interessati agli impianti “capture-ready” perché potenzialmente in grado di offrire opportunità di minor costo per riempire il gap tra la generazione attuale di impianti alimentati a combustibili fossili senza cattura della CO2 e gli impianti del futuro che potranno essere (o saranno) già progettati per la cattura, riducendo i rischi associati a possibili future più stringenti regolamentazioni delle emissioni di CO2 . L’analisi per l’identificazione delle tecnologie di generazione più idonee al retrofit futuro ed alle relative possibili tecnologie di cattura applicabili a portato alla scelta di due soli tipi di impianto, entrambi alimentati a carbone, che sono rispettivamente il ciclo Rankine supercritico a vapore con caldaie alimentate a polverino di carbone (PC o PF nella terminologia anglosassone) e gli impianti integrati di gassificazione del carbone e ciclo combinato (IGCC). Non sono stati considerati, almeno in prima istanza, i cicli combinati alimentati a gas per due motivi principali: anzitutto perché dovendo scegliere a quale tecnologia applicare prioritariamente la cattura, è spontaneo focalizzarsi verso le tecnologie a più elevata emissione specifica, secondariamente perché la cattura da tali impianti tende a essere particolarmente antieconomica, almeno nella sua opzione post- combustione per la quale devono essere trattate grandi quantità di fumi con un basso contenuto di CO2. A ciò vanno inoltre aggiunte considerazioni economico-strategiche e di diversificazione che portano per l’Italia a identificare nel carbone il prevedibile combustibile di elezione per eventuali futuri impianti di generazione, stante anche la già elevata percentuale di energia elettrica prodotta dal gas in impianti a ciclo combinato. Per quanto riguarda gli impianti supercritici alimentati a polverino di carbone le opzioni tecnologiche adatte al retrofit attualmente più sviluppate (o studiate ed in fase dimostrativa) sono la cattura post-combustione tramite assorbimento con solventi selettivi, ed in particolare con alchilammine, e la combustione con ossigeno (tecnologia nota come ossicombustione o oxy-fuel combustion). La notevole conoscenza relativa alla tecnologia di generazione mediante PC consente di valutare dettagliatamente le implicazioni dell’applicazione in retrofit di queste tecnologie, analizzando in dettaglio le apparecchiature, i costi e le prestazioni stimate per entrambe le tecnologie. In una tesi del MIT del 2006 sono state esaminate tre possibili tipologie di impianto: un impianto PC base, un impianto IGCC base e un impianto IGCC con pre-investimenti per la futura cattura della CO2. L’analisi effettuata valuta ciascuna opzione per diversi scenari relativi alla futura possibile tassazione della CO2 emessa, e identifica la scelta economicamente più conveniente in relazione anche al lasso di tempo che potrà intercorrere tra la costruzione dell’impianto e il momento nel quale dovrà essere effettuato l’intervento di adattamento alla cattura. I risultati del lavoro mostrano che l’impianto PC base è la scelta più economica nel caso di previsto costo di emissione della CO2 basso, mentre gli impianti IGCC lo sono nel caso di costo della emissione di CO2 elevato. Inoltre, la differenza di costi NPV tra IGCC con pre-investimenti per la cattura e IGCC senza tali anticipazioni di spesa è piccola. Anche in termini di vita utile la differenza è minima e i pre-investimenti non risultano giustificabili. Nel lavoro viene analizzato anche la cosiddetta CO2 “lock-in”. Questa si verifica quando un impianto già costruito è talmente costoso da adeguare che non potrà esserlo mai e contemporaneamente non esistono opzioni economiche per ridurre le emissioni di CO2 che non siano la fermata dell’impianto o la sua totale ricostruzione. Le conclusioni di un altro successivo lavoro dello stesso autore, che solo per alcuni aspetti concordano con le precedenti sono: • sulla base dei prezzi del carbone stimabili per il futuro, nel progetto di nuove centrali non sono economicamente giustificabili significativi pre-investimenti in sistemi di cattura e stoccaggio della CO2; dovrebbero però essere prese in considerazione tutte le opzioni a costo ridotto quali ad esempio la previsione degli spazi necessari per i futuri interventi; • il verificarsi di un eventuale CO2 ‘‘lock-in’’ è una funzione del futuro prezzo della CO2 stessa: per prezzi della CO2 bassi la lock-in avviene per tutti gli impianti, indipendentemente dalle tecnologie adottate; per prezzi della CO2 elevati tutti i tipi di impianti sono idonei a ridurre le emissioni di CO2, anche se con ampie differenze nei costi; la realizzazione di un impianto “capture ready” può essere utile ad evitare la CO2 ‘‘lock-in’’ solo per prezzi della CO2 intermedi; • all’aumentare del ritardo temporale previsto tra costruzione dell’impianto e fissazione del prezzo della CO2 aumenta anche il prezzo della CO2 necessario per giustificare gli interventi relativi al concetto di “capture ready”.

Risultati coerenti con i precedenti, ma un po’ più articolati, sono ottenuti anche in uno studio DOE/NETL del 2008 nel quale si conclude che: • per le centrali PC ci può essere un beneficio associato con pre-investimenti che anticipino le future esigenze di cattura della CO2. Nel loro caso il beneficio è ottenuto sovradimensionando (come costo di pre-investimento) la capacità della caldaia di produrre vapore in modo tale che al momento del retrofit l’impianto sia in grado di mantenere la sua capacità produttiva, anche se con un rendimento elettrico netto minore. Secondo i loro calcoli, il retrofit BAU (Business As Usual) di una normale centrale PC sarebbe molto penalizzato, mentre quello di un impianto PC capture ready consentirebbe di produrre energia a un costo inferiore del 20 % rispetto al retrofit del caso BAU; • nel caso di centrali IGCC l’analisi evidenzia invece che i pre-investimenti per anticipare le esigenze di cattura comportano solo benefici limitati. Essendo i costi di retrofit relativamente modesti rispetto a quelli totali dell’impianto, e l’entità del derating dell’impianto conseguente alla cattura tutto sommato accettabile, non ci sono vantaggi economici ad anticipare parte degli investimenti. Come sintetica conclusione, si può affermare che gli elementi chiave minimi, almeno dal punto di vista dell’attuale legislazione comunitaria, per assicurare che un nuovo impianto di generazione possa essere considerato “capture-ready” o “predisposto per la cattura” sono che dovrebbero essere presenti e/o ben definiti nel progetto dell’impianto: • una strategia tecnica, operativa ed economica ben identificata e definita tramite la quale una tecnologia credibile di cattura CO2 possa essere applicata all’impianto nel futuro prossimo; • la disponibilità di spazio sia all’interno sia attorno all’impianto, in modo tale da permettere la futura implementazione della tecnologia di cattura scelta; • l’identificazione di un possibile, disponibile e idoneo sito di stoccaggio della CO2 catturata; • un percorso credibile per l’invio della CO2 catturata dal sito dell’impianto a quello del possibile stoccaggio. Tra questi, gli ultimi due punti sono i più critici perché oltre ad essere tecnicamente complessi e subordinati a plurimi vincoli, sono anche soggetti a problemi di accettabilità sociale. Non sembra pero, allo stato attuale delle conoscenze e della legislazione, che tali requisiti debbano essere, oltre che presenti, descritti e valutati, anche in qualche modo garantiti da chi richiede la costruzione dell’impianto. Le maggiori barriere all’introduzione futura della CCS potrebbero essere costituite non tanto dai costi “commerciali” degli interventi di adattamento o pre-adattamento degli impianti di generazione, quanto dai costi, non solo di tipo economico, originati sia dall’identificazione dei siti, sia dagli aspetti regolatori e legali e di sicurezza dei depositi geologici, sia dall’accettazione sociale della tecnologia e in particolare dell’operazione di confinamento della CO2.

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