Cerca nel sito per parola chiave

rapporti - Deliverable

Metodi analitici e sistemi di misura e controllo dei microinquinanti nelle emissioni

rapporti - Deliverable

Metodi analitici e sistemi di misura e controllo dei microinquinanti nelle emissioni

Recently updated on Aprile 7th, 2021 at 12:06 pm

Il rapporto descrive le attività di Ricerca di Sistema svolte nel periodo gennaio 2007-febbraio 2008 nel Progetto “Sviluppo ed applicazione dei metodi per la quantificazione dell’impatto dei microinquinanti ed opportunità di mitigazione” dell’area “Produzione e Fonti Energetiche”, una delle quattro Aree di ricerca definite nell’Accordo di programma triennale tra il Ministero per lo Sviluppo Economico e CESI RICERCA S.p.A. stipulato il 21 giugno 2007. Il rapporto è strutturato in due parti: null sistemi di misura e controllo delle emissioni in atmosfera; null validazione in campo di strumenti per la misura dei microinquinanti nelle acque. Sistemi di misura e controllo delle emissioni in atmosfera Le prospettive di crescente utilizzo del carbone, grazie alla sua disponibilità ed ai costi assai più contenuti rispetto agli altri combustibili fossili, impongono una rinnovata attenzione per le emissioni in atmosfera dagli impianti di combustione. Tra gli elementi inquinanti legati a tale combustibile, i microinquinanti inorganici (ed in particolare il mercurio) si stanno ponendo con sempre più rilievo all’attenzione della comunità scientifica, a cui viene richiesto di supportare una ormai imminente regolamentazione di tali emissioni. Inoltre, la vasta diffusione della tecnologia di generazione a ciclo combinato alimentato a gas naturale, da un lato, e l’introduzione di “standard” ambientali per le concentrazioni di particolato (PM 10 e PM 2,5) (per ora in aria ambiente e, a breve, anche alle emissioni), hanno reso evidente la necessità della messa a punto e validazione di metodi “ad hoc” per la caratterizzazione delle emissioni di polveri “fini” a basse e bassissime concentrazioni. I principali metodi di caratterizzazione delle emissioni oggi utilizzati sono stati studiati per verificare il rispetto di limiti alle emissioni, molto più alti di quanto registrato nei turbogas (TG), e sono stati pensati soprattutto per le unità funzionanti a carbone o ad olio combustibile denso; ciò porta ad un’elevata incertezza (percentuale) della misura ‘puntuale’ delle polveri emesse dai TG. Tuttavia, in considerazione dei grossi flussi di gas emesso da tali unità (2 milioni di metri cubi per ora in un’unità da 250 MWe), a questa “bassa” accuratezza percentuale delle misure puntuali, potrebbe essere associata una bassa accuratezza dei flussi di massa emessi. Infine, le esigenze di controllo dell’impatto ambientale degli impianti di generazione da parte delle Autorità pubbliche suggeriscono l’utilità di poter disporre di sistemi di monitoraggio – in primo luogo delle emissioni in atmosfera – standardizzati e trasparenti. Le nuove disposizioni in materiale ambientale (come la normativa IPPC) richiedono inoltre di misurare il flusso massico totale di ciascun inquinante con la massima accuratezza possibile, e ciò impone di ‘ripensare’ i metodi di valutazione di tali emissioni. L’attività si è proposta di approfondire e sviluppare metodi e sistemi in grado di caratterizzare le emissioni dei microinquinanti, in particolare di quelli che necessitano approfondimenti specifici anche di carattere prenormativo per l’applicazione della legislazione nazionale e comunitaria. E’ stata dunque articolata nelle seguenti tematiche: null messa a punto di un prototipo di calibratore di vapori metallici di mercurio;

null misura di polveri sottili alle emissioni di turbogas. Per quanto riguarda la messa a punto di un calibratore di vapori metallici di mercurio è stato realizzato un prototipo basato sul principio di evaporazione del mercurio metallico perché, se da un lato le concentrazioni generate sono più alte di quanto richiesto (l’unità deve generare concentrazioni medie di mercurio comprese tra 10 e 100 µg/m 3 ), dall’altro la generazione risulta molto più stabile e precisa e dipende solo dalla temperatura all’interno del forno. La concentrazione che si viene a creare in questo modo è notevolmente più alta di quella voluta. Per poter avere la necessaria diluizione, si è pensato, invece di ricorrere alla diluizione dinamica, di utilizzare un “loop” di campionamento di tipo gascromatografico, in grado di iniettare, a tempi stabiliti, aliquote note di mercurio verso l’esterno. Un tale approccio ha il vantaggio di poter realizzare “spikes” molto ripetibili (entro il 2-3 %) e di poter valutare gli analizzatori in prova anche dal punto di vista dinamico perché, conoscendo l’istante in cui è generato lo “spike”, si può valutare quanto tempo il sistema in esame impieghi a rivelarlo. Per facilitare l’allestimento del sistema, è stato scelto di utilizzare i componenti base di un gascromatografo da processo, già naturalmente fornito di un forno dove inserire le colonne oltre che dell’elettronica di controllo per questo. Sul prototipo realizzato sono state condotte prove di verifica della stabilità nella regolazione di temperatura, di taratura del “loop” e di sviluppo software di gestione. Per quanto riguarda la misura di polveri sottili alle emissioni di turbogas l’attività è stata finalizzata alla validazione dei risultati ed all’analisi statistica dei dati raccolti nel corso di campagne di misura presso impianti turbogas, condotte nel 2006 in collaborazione con le società EDISON (Milano), GEEPE – General Electric Energy Products Europe (Belfort, Francia) ed INERIS-Institut national de l’environnement industriel et des riques (Verneuil en Halatte, Francia), tese ad implementare le capacità del metodo UNI EN 13284-1. L’analisi ha confermato come la polverosità a valle degli impianti turbogas é confrontabile con quella a monte degli stessi (nelle medesime condizioni), ossia nell’atmosfera. Tale conclusione va a confutare alcune preoccupazioni riguardanti una possibile significativa emissione di polveri sottili da impianti turbogas e appare particolarmente importante nel contesto italiano, dove il numero di tali impianti è in continua crescita grazie alla loro elevata efficienza e al loro ridotto impatto ambientale. Considerando tutti e soli i dati CESI RICERCA, è stata dimostrata la sostanziale affidabilità del metodo proposto per la determinazione di polveri sottili alle emissioni. Infatti i risultati ottenuti tramite impattore hanno dimostrato che da un lato questo strumento è in grado di raccogliere correttamente la polvere e di selezionare le classi granulometriche di interesse (separando le particelle con diametro aerodinamico superiore a 10 µm, quelle comprese tra 10 e 2,5 µm e quelle inferiori a 2,5 µm), e dall’altro che esso è in grado di fornire risultati con una ripetibilità adeguata anche nel caso specifico di centrali termoelettriche turbogas, che presentano livelli di polverosità inferiori a 1 mg/m 3 ed elevati flussi gassosi. Grazie all’utilizzo dell’impattore è stato possibile verificare in modo affidabile che le emissioni di materiale particolato dagli impianti turbogas analizzati sono estremamente basse, tanto da risultare comparabili con i livelli di polverosità ambientale. In effetti la concentrazione media di polveri misurata a camino durante i test di riproducibilità è variata da 25 a 79 µg/m 3 , e nello stesso periodo la concentrazione di polveri in aria ambiente era compresa nel “range” 102-115 µg/m 3 . Il metodo è, comunque, molto complesso ed è necessario un ulteriore attività di indagine, necessaria per definire alcuni aspetti che sono lasciati, per ora, alla sensibilità degli operatori che eseguono la prova secondo un concetto di GPL (Good Laboratory Practice); tali aspetti rendono, al momento, critica la ‘trasportabilità’ del metodo stesso e la sua applicazione da parte del ‘vasto pubblico dei laboratori di prova’. Infatti un primo esperimento in tal senso svolto assieme all’INERIS, e condotto con lo scopo di evidenziare tali criticità, ha mostrato una

riproducibilità interlaboratorio scarsa, anche se il valore riscontrato (circa 70 µg/m 3 ) è in linea con quelli ottenuti all’inizio di simili esercizi condotti nel passato da CESI RICERCA relativamente ad altri metodi di misura alle emissioni. Validazione in campo di strumenti per la misura dei microinquinanti nelle acque In acqua di mare il bromo, presente in quantità significativa ed in virtù delle sue caratteristiche ossidoriduttive, reagisce immediatamente con il cloro (presente in forma di cloro o di ipoclorito), fino a concentrazioni di 15-20 mg/L, trasformando le “clorazioni” in “bromazioni”. Pertanto, a causa della presenza del bromo e degli altri alogenuri che reagiscono con il cloro, il “cloro residuo totale” (TRC) viene espresso come “ossidante residuo totale” (TRO), indicando con questo termine la somma di tutte le specie ossidanti che rimangono nell’acqua, considerando anche quelle ossidanti originate dalla reazione con le sostanze organiche, quali cloro o bromoammine organiche ed inorganiche, presenti al momento della misura. Il TRO continua a reagire con la sostanza organica presente nell’acqua e con gli acidi umici in particolare, riducendosi a composti organoalogenati finali, più o meno stabili, i trialometani (THM), dei quali il bromoformio rappresenta il 95-98 % del totale. Per la loro tossicità acuta questi composti sono stati inclusi nell’elenco delle sostanze da eliminare nelle Direttive europee (IPPC) e nei Decreti Legislativi conseguenti in materia di acque di scarico. La normativa vigente ammette il rilascio di una concentrazione massima di 0,2 mg/L di cloro residuo alla scarico delle acque industriali nei corpi idrici superficiali, ma nelle aree sensibili, (ad esempio nella laguna di Venezia) il limite ammesso è ancora inferiore. La problematica relativa alla formazione dei trialometani ha reso pertanto necessaria la revisione dei trattamenti “antifouling” e di disinfezione dei circuiti di raffreddamento delle centrali termoelettriche e la necessità di misurare accuratamente le concentrazioni del cloro residuo. La misura del cloro residuo risulta particolarmente critica nell’acqua di mare a causa dell’elevata manutenzione necessaria agli strumenti e alle interferenze indotte dai tanti componenti presenti nell’acqua di mare, sia come elementi base che come inquinanti specifici. Nonostante questi limiti, la misura “on-line” dei parametri allo scarico richiama il favore sia degli enti di controllo sia degli operatori degli impianti, che, in linea di principio e per motivi anche opposti, ritengono utile avere a disposizione una registrazione continua e l’archiviazione nel tempo dei valori misurati. Spesso inoltre gli strumenti utilizzati risultano avere, in pratica, una sensibilità inadeguata rispetto alla massima concentrazione ammessa allo scarico, pertanto le misure da essi fornite sottostimano il residuo o, viceversa, nel caso dei frequenti e rapidi fenomeni di sporcamento, presentano una deriva del segnale non correlata ad un reale aumento della concentrazione dell’ossidante nell’acqua. L’attività sperimentale svolta ha riguardato la validazione in campo dei seguenti metodi di misura in continuo di cloro e biossido di cloro: potenziometrico, potenziometrico – iodometrico, colorimetrico, amperometrico. I cicli di misura sono stati effettuati utilizzando strumentazione commerciale istallata in circuiti di raffreddamento alimentati con acqua di mare presso 3 impianti termoelettrici; in particolare: null misure di cloro con misuratori potenziometrici presso l’impianto termoelettrico della società ELETTRA Produzione di Piombino; null misure di cloro presso con misuratori amperometrici e potenziometrici a elettrodo selettivo presso l’impianto ENEL di P.to Corsini (Ravenna); null misure di biossido di cloro con misuratori potenziometrici presso un altro impianto termoelettrico della società ELETTRA produzione a Servola (Trieste). Sono state verificate la deriva del segnale nel tempo, la risoluzione e la precisione della misura, nell’intervallo di concentrazioni di interesse per i trattamenti delle acque. Il metodo di riferimento utilizzato è il metodo standard di analisi puntuale colorimetrica con il metodo

ufficiale italiano (metodo IRSA-CNR n. 4060 per la determinazione del cloro libero e delle clorammine). I risultati indicano la possibilità di impiegare diverse strumentazioni elettrochimiche all’interno dell’impianto per controllare entrambi i trattamenti con cloro e biossido di cloro, tuttavia, solo poche tra quelle commercialmente disponibili, sono risultate idonee per misurare la presenza di ossidante residuo allo scarico, senza una gravosa e frequente manutenzione. Complessivamente, è stata verificata, un’accentuata sensibilità di un semplice metodo potenziometrico, basato su misure del potenziale redox dell’acqua, per le misure di biossido di cloro a concentrazione inferiore a 0,05 mg/L. L’accuratezza di tale misure nell’intervallo di concentrazioni di 0-0,2 mg/L risulta invece molto scarsa. In questo intervallo di concentrazioni, il segnale tende a mantenersi costante attorno a 750 mV, indipendentemente dalla concentrazione misurata. Il metodo di misura del potenziale redox non è risultato altrettanto sensibile alle concentrazioni di cloro (bromo) residuo inferiori a 0,2 mg/L. In questo caso, la risoluzione del metodo nell’intervallo 0,2-1 mg/L è risultata potenzialmente adeguata, nonostante il segnale di misura risulti soggetto ad un elevato errore statistico dovuto alla dispersione dei dati. Analogamente, la strumentazione amperometrica utilizzata non è risultata sensibile in modo sufficientemente costante alle basse concentrazioni di residuo dovuto a cloro/bromo presente agli scarichi dei circuiti di raffreddamento, poiché soggetta a disturbi indotti da un eccessivo e rapido sporcamento del sensore. Una sola apparecchiatura tra quelle provate è risultata idonea alla misura in continuo del residuo dovuto a clorazione. Tale apparecchiatura, basata su misure potenziometriche differenziali, utilizza un elettrodo iono-selettivo sensibile allo iodio ed effettua il pretrattamento del campione da analizzare, trasformando tutto l’ossidante presente in iodio prima dell’arrivo nella cella di misura elettrochimica. La sperimentazione eseguita in campo ha evidenziato che il metodo potenziometrico di misura del potenziale redox dell’acqua di mare risulta particolarmente interessante poiché di semplice applicazione ed utilizzo per il personale operativo degli impianti. I dati rilevati sono risultati molto disomogenei nei diversi siti di indagine per quanto riguarda il valore assoluto, a parità di concentrazione di ossidante rilevato nell’acqua, ma in ogni sito è stato possibile rilevare il trend di concentrazione in punti diversi dell’impianto caratterizzati da una diversa concentrazione di ossidante. Sulla base dei risultati complessivi conseguiti con la sperimentazione condotta, sono state individuate alcune apparecchiature potenzialmente utilizzabili in sistemi integrati. I sistemi testati possono, in linea di principio, fornire in continuo ed “on-line” un’informazione relativa alla presenza dei diversi residui ossidanti e risultano affidabili anche alle basse concentrazioni presenti agli scarichi dei circuiti di raffreddamento durante i trattamenti sia con cloro sia con biossido di cloro. Tali strumenti sono tuttavia inquinante-specifici per cui non possono essere utilizzati in modo indipendente dal trattamento di clorazione eseguito.

Progetti

Commenti