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Modalità di gestione dei residui solidi in impianti a carbone con sistema acqua a scarico zero

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Modalità di gestione dei residui solidi in impianti a carbone con sistema acqua a scarico zero

Il presente Rapporto descrive le attività di Ricerca di Sistema svolte nell’ambito del Progetto Produzione e Fonti Energetiche. L’adozione di soluzioni a “scarico liquido zero” per le centrali a carbone comporta quasi inevitabilmente la generazione di una nuova classe di residui solidi: i residui salini, costituiti per la gran parte da cloruri, solfati, nitrati e talvolta carbonati di sodio, contaminati però da diversi altri elementi con percentuali inferiori, ma spesso nocivi. L’obiettivo dello studio è stata l’analisi e la messa a punto di una soluzione tecnicamente ed economicamente sostenibile di messa a discarica dei residui salini derivati dall’essiccamento totale del refluo di una centrale a carbone ambientalizzata (con un sistema di desolforazione dei fumi DeSO x -TSD). La soluzione cercata doveva rappresentare comunque una soluzione alternativa a quella più conveniente, rappresentata dal conferimento diretto in miniere situate all’estero (Germania o Svizzera), ma anche alla inertizzazione diretta in matrici inorganiche, costituite tipicamente da cementi e da ceneri volanti. Sulla base delle competenze fin qui maturate e delle esperienze note, positive e negative, si è deciso di indagare la percorribilità di una soluzione che prevede di utilizzare delle matrici polimeriche organiche in grado di inglobare o sequestrare i sali in modo da stabilizzare completamente il residuo e renderlo così compatibile con il conferimento definitivo in discariche per materiali non pericolosi. L’idea di utilizzare materiali polimerici sintetici si basa sulla necessità di impedire il contatto del residuo con l’acqua e la sua dispersione all’ambiente come soluzione salina, ma anche di trarre vantaggio dalla grande disponibilità di questi materiali, visti come materia prima disponibile nelle stesse discariche, dove si sono accumulate negli anni. Partendo dalla definizione delle caratteristiche dei residui e da un’ analisi delle tecnologie disponibili, si sono definite le soluzioni più efficaci. Dopo verifica di compatibilità dei prodotti stabilizzati con la normativa vigente, si è passati alla progettazione di massima dei processi ipotizzabili, valutandone i costi. L’analisi del problema in ogni suo aspetto ha portato a identificare come perseguibile la produzione di “monoliti” in materiale plastico con due distinte tipologie, destinate a tipologie di discarica diverse: “monoliti” di dimensioni di circa 10 mm, destinati alla messa in discarica disordinatamente anche “in miscela” con altri rifiuti analoghi; “monoliti” di grandi dimensioni di circa 1000 mm di lato, destinati a discariche specificatamente progettate. Entrambi i “monoliti” possono soddisfare i criteri indicati dalla legge ai fini della loro classificazione come “rifiuto stabilizzato”, codice CER 19 03 e seguenti. Per la loro produzione verrebbero impiegate due distinte tipologie di materia plastiche: plastiche di recupero per i monoliti di piccole dimensioni, in modo da conseguire un risparmio sui costi della materia plastica di circa il 50%, e materia plastica “vergine” per i monoliti di grandi dimensioni, dato che i costi specifici (sulla tonnellata di residuo) consentono tale scelta. I prodotti così stabilizzati si presentano quindi come segue. I

monoliti di piccole dimensioni sono dei contenitori in materiale plastico riempiti con il residuo salino tal quale o già parzialmente/completamente stabilizzato in matrice organica o inorganica. Un elemento importante, per la manipolazione fino alla discarica, è la resistenza del guscio esterno in polietilene ad alta densità da recupero e dello spessore di 3 millimetri. In relazione ai costi, i monoliti di piccole dimensioni presentano un rapporto plastica/residuo espresso in peso indicativamente pari a 0.7 ton HDPE/ton residuo, con un costo finale stimabile nell’ordine di 300 €/ton di residuo, che diventano 400 €/ton se si includono i costi di trasporto. In questo costo non è stato compreso l’impianto di produzione dei piccoli monoliti, impianto che per le caratteristiche del prodotto finito e per i quantitativi lavorati, dovrà essere progettato e realizzato allo scopo. Il costo di un impianto di questo tipo si stima nell’ordine di 1-2 milioni di euro. I monoliti di grandi dimensioni sono rappresentabili come dei grandi contenitori in materiale plastico riempiti con il residuo salino tal quale, cioè non stabilizzato, e quindi chiusi dopo riempimento con un coperchio “saldato” in modo da formare un tutt’uno con il guscio inferiore. Il processo di produzione è semplice, essendo le due parti del contenitore formato con materia termoplastica ad elevate prestazioni meccaniche e di resistenza chimica. L’utilizzo di questi monoliti si basa sul fatto che, per le loro dimensioni e la loro robustezza, non vanno sottoposti alle prescrizioni sul test di cessione, da ritenersi superato sulla base delle caratteristiche proprie del manufatto. Il problema dello smaltimento del residuo si sposta quindi sulla effettiva possibilità di realizzazione, dal progetto all’autorizzazione, di una discarica o di una cella idonea a contenere questa tipologia di monoliti (residuo stabilizzato). La normativa vigente non nega la possibilità di realizzare questo tipo di discariche, ma rimane tuttavia questo aspetto ancora tutto da verificare nella pratica. Per i monoliti di grandi dimensioni si arriva ad una stima di costo finale attorno ai 200 €/ton di residuo. Tenuto conto di trasporto e conferimento in discarica, si arriva alla stima definitiva di un costo di smaltimento complessivo di circa 300÷350 €/ton, non troppo diverso dal caso precedente. Ma va considerato che la lavorazione del monolita è molto più semplice, consistendo nel loro riempimento nello stabilimento, al quale i monoliti vuoti vengono spediti. Il costo accessorio di questa soluzione è rappresentato dalla realizzazione della discarica, quantomeno della “cella” dedicata. Il costo vivo della discarica non è elevato, stimato nell’ordine di 0.5÷1 milione di euro, ma è meno definibile il costo nascosto della sua autorizzazione.

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