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Monitoraggio sull’evoluzione dei lavori intergovernativi sui cambiamenti climatici Aggiornamento al giugno 2001

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Monitoraggio sull’evoluzione dei lavori intergovernativi sui cambiamenti climatici Aggiornamento al giugno 2001

Recently updated on Aprile 7th, 2021 at 01:27 pm

Le dichiarazioni di non voler ratificare il Protocollo di Kyoto, espresse da Christine Todd Whitman, rappresentante americana a Trieste, hanno provocato un acceso dibattito negli Stati Uniti su quale sia effettivamente la linea dell’amministrazione Bush in tema di politiche energetiche sulle problematiche relative ai cambiamenti climatici. Il presidente USA il 13 marzo 2001, con una lettera inviata ai Senatori Hagel, Helms, Craig e Roberts, dichiara il suo sostegno alla posizione del Senato contro i provvedimenti previsti dal Protocollo di Kyoto, in quanto quest’ultimo escluderebbe l’80% del mondo (tra cui i paesi più popolosi come Cina e India) e recherebbe gravi danni all’economia degli Stati Uniti. Bush, ribadisce quindi la sua opposizione alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, che secondo il “Clean Air Act” non è un inquinante, sostenendo che ancora oggi non esiste una completa conoscenza delle cause e delle possibili soluzioni al problema del cambiamento climatico. Egli si impegna tuttavia a promuovere una politica energetica nazionale per il contenimento delle emissioni da diossido di zolfo, ossidi di azoto e mercurio. L’Unione Europea ha mosso numerosi appelli agli Stati Uniti al fine di convincerli a non abbandonare il trattato di Kyoto. Nonostante la lettera inviata dal Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, e del presidente del Consiglio Europeo, Goran Persson, per la ripresa delle trattative in vista dell’incontro di Bonn di luglio, e l’incontro del 3 aprile 2001, in cui il Ministro dell’Ambiente Usa, Christine Todd Whitman, ha ribadito il suo secco no, l’UE conferma il suo impegno a rispettare gli accordi con o senza gli Stati Uniti. La delegazione guidata dal Commissario UE all’Ambiente Margot Wallstrom non ravvisa alcuna divergenza all’interno dell’amministrazione Bush su questo tema, a dispetto delle indiscrezioni sulle possibili dimissioni di Christine Whitman. Dunque l’Unione Europea si assume la leadership per garantire l’applicazione del Protocollo e afferma, attraverso le parole del 5 aprile 2001 di Romano Prodi, la necessità di un immediato intervento che contrasti il riscaldamento globale della Terra e la responsabilità dei Paesi industrializzati nel dare il buon esempio; attualmente e` oggetto di consultazione, tra i vari servizi della Comunità, una Proposta di Direttiva UE sull’ET dei gas serra (maggio 2001). A quanto dice, gli Stati Uniti non possono esimersi dal ridurre le emissioni di anidride carbonica in quanto essi stessi, da soli, ne generano un quarto di quelle mondiali; inoltre riconosce la necessità di un coinvolgimento di tutti i paesi (compresi quelli in via di sviluppo), ma afferma che il Protocollo di Kyoto, che dovrebbe entrare in vigore nel 2002, dopo la ratifica di almeno metà dei centodieci Paesi che l’hanno sottoscritto, non è che il primo passo verso la soluzione del problema. Altri solleciti agli USA sono giunti da Tony Blair e dal Concilio Nordico, un forum interparlamentare di 87 politici in rappresentanza di Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Islanda.

Per quanto riguarda i paesi extraeuropei, sono stati presentati agli Stati Uniti ulteriori inviti ad un ripensamento da parte del Ministro degli Esteri neozelandese, Phil Goff, in rappresentanza delle piccole isole del Pacifico, le prime vittime eventuali dell’innalzamento delle acque dovuto all’aumento dell’effetto serra. L’Australia, in passato alleata agli USA contro il Protocollo, ha applaudito il trattato come “l’unico oggi realizzabile”, pur dando ragione a Bush perché anche i Paesi in via di sviluppo ne vengano inclusi. Il 5 aprile 2001 anche il Giappone, un tempo sulle stesse posizioni della Casa Bianca, ha inviato una delegazione a Washington chiedendo al Presidente di ratificare rapidamente il Protocollo di Kyoto ed ha avviato una tela diplomatica per spaccare l’umbrella group, il cartello anti UE di cui facevano parte Canada, USA, Giappone, Russia, Norvegia e Australia. Perfino il mondo dell’industria appare preoccupato dagli effetti del cambiamento climatico e il Pew Center on Global Climate Change, l’organizzazione no profit a cui appartengono più di trenta società tra le prime 500 nella classifica di Fortune, ha rivolto pesanti critiche all’atteggiamento americano. Secondo le parole della delegazione europea del 10 aprile inoltre, i negoziati con Russia, Cina ed Iran sembrano prendere un risvolto positivo.

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